Ipotesi COVID-19 made in USA
> segue da Ipotesi COVID-19 made in China
Una sequenza di eventi chiara, coerente, lineare, documentata e supportata da fonti autorevoli fornisce un’immagine estremamente semplice di come il virus potrebbe essersi propagato dal BSL-4 di Wuhan. Fin troppo semplice a dire il vero, o meglio semplicistica. Senza dubbio la poca trasparenza del governo cinese su tutta la vicenda ha contribuito ad alimentare doverosi sospetti. I media occidentali però non sono stati da meno, ricorrendo alla solita inquisizione contro le presunte “fake news”, considerate letteralmente un pericolo pubblico, evidentemente anche l’Occidente aveva qualcosa da nascondere. Tutte le istituzioni sanitarie statunitensi, in primis i Centers for Disease Control and Prevention (CDC), sono stati molto aggressivi nel negare l’ipotesi “complottista” che il nuovo coronavirus possa essere antropogenetico, prima di una qualsiasi ricerca ufficiale in merito. Come al solito, quando istituzioni sentono a priori il dovere di negare una determinata interpretazione dei fatti, suggeriscono al contrario l’idea che quella interpretazione sia comunque plausibile. Perché, soprattutto gli Stati Uniti, dovrebbero fare il gioco dell’odiata Cina proprio in questa ghiotta occasione per incolparla? Secondo le accuse del Ministero degli Esteri cinese e di diversi ricercatori la pandemia potrebbe avere avuto in realtà origine negli Stati Uniti.
Per avere una visione più chiara della vicenda è senz’altro utile fare due passi indietro e collocarla all’interno del contesto geopolitico, che vede principalmente gli Stati Uniti cercare di contrastare l’inesorabile ascesa della Cina, vista come la più seria minaccia alla propria leadership mondiale. Questa azione ha i connotati di una vera e propria offensiva strategica che si sviluppa contemporaneamente su più piani, in primis quello economico. Una guerra commerciale senza esclusioni di colpi è in atto tra Stati Uniti e Cina da diversi anni, ma è entrata nel vivo il 22 marzo 2018, quando il presidente Trump ha annunciato l’intenzione di imporre dazi doganali sui prodotti cinesi per un totale di 50 miliardi di dollari. Per ritorsione il 22 aprile 2018 la Cina ha imposto a sua volta dazi su 128 prodotti statunitensi. Il 1 agosto 2019 Trump annuncia un nuovo dazio del 10% su 300 miliardi di importazioni cinesi che entra in vigore il successivo 1 settembre. Il 5 agosto 2019 la Cina risponde interrompendo l’acquisto di prodotti agricoli statunitensi, dopo che nel 2018 le importazioni erano già scese a 9,1 miliardi di dollari rispetto ai 19,5 del 2017. Nello stesso periodo la Cina ha svalutato lo yuan scatenando la reazione del Ministro del Tesoro degli Stati Uniti che ha accusato il gigante asiatico di essere un “manipolatore di valuta”. Il 23 agosto 2019 Trump alza ancora il livello dello scontro e porta i dazi al 25% su altri 250 miliardi di importazioni cinesi. Poco dopo cambia nuovamente idea a annuncia un ulteriore incremento delle tariffe dal 1° ottobre, i dazi al 10% passano al 15% e quelli al 25% salgono al 30%.
Un altro campo di scontro è il 5G, la prima infrastruttura tecnologica globale progettata dalla Cina e non dall’Occidente. Nel dicembre del 2018 è stata arrestata in Canada, con mandato di cattura statunitense, la figlia del fondatore di Huwaei, meng Wanzhou. A novembre del 2019 Trump valuta anche l’opzione di lanciare un 5G open source, per evitare che la Cina possa arrivare ad un mopolio e abolire di fatto il predominio di Huawei nel settore. Il 13 febbraio 2020 il procuratore federale di Brooklyn accusa il colosso cinese di “criminalità organizzata” per aver rubato segreti commerciali agli USA.
L’escalation sembra trovare una qualche tregua solo con il vertice G7 di Biarritz in Francia il 28 agosto 2019, dove tutti i paesi convenuti chiedono a Trump di porre un freno alla guerra commerciale con la Cina per evitare la minaccia di una sempre più probabile recessione globale, nonostante eccezionali stimoli finanziari. Le misure già previste entrano in vigore, ma da dicembre del 2019 cominciano a girare rumors su un possibile taglio dei dazi e una tregua nella guerra commerciale. Il 20 gennaio 2020 Trump conferma le indiscrezioni annunciando un accordo di Fase 1 con la Cina, che fa pensare ad un’improvvisa distensione. Trump lo definisce un “accordo storico”, un “importante passo in avanti” verso una relazione più equilibrata fra i due paesi. Non pago ringrazia il presidente cinese Xi Jinping, che definisce addirittura “grande amico” e gli promette un incontro sul suolo cinese. Secondo gli analisti, in realtà, le due potenze hanno siglato solo una tregua armata di facciata, evidentemente consapevoli di avere altre priorità nel breve termine.
Nel frattempo la crisi ha risvolti militari e diplomatici. Il 7 agosto 2019 il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, rivela al Lowy Institute il piano di trasformare l’Alleanza Atlantica in una “Atlantic-Pacific Alliance”, includendo anche Australia, Giappone e India, in modo da circondare la Cina. Stoltenberg sostiene che non sono gli Alleati a dispiegarsi militarmente nel Pacifico, ma la Cina a minacciarli. Il vertice NATO del 3 dicembre del 2019 stabilisce il punto di svolta della riforma dell’Alleanza Atlantica. Mentre il presidente Macron sancisce prematuramente la “morte cerebrale” della NATO, per lo meno rispetto alle sue personali ambizioni, il Pentagono riesce a far approvare la sua visione anti-cinese a tutti i membri, incluso lo stesso presidente Trump che a lungo ha tentato di bloccare gli Accordi di Partenariato Transpacifico. Diventa quindi ancora più evidente che il baricentro della NATO sia il Pentagono, che svela uno stato avanzato delle contrattazioni non solo con Australia, Giappone e India, ma anche con Corea del Sud, Indonesia, Myanmar, Filippine, Tailandia e Vietnam, perseguendo la stessa logica di accerchiamento che è stata usata contro l’Unione Sovietica. Nel vertice della sicurezza di Monaco del 17 febbraio 2020 il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Mark Esper, ha continuato ad accusare Pechino di condurre politiche militari ed economiche aggressive a spese di altre nazioni e di “sfidare l’ordine internazionale”, cioè l’egemonia globale statunitense.
Per curiosa coincidenza, in contemporanea all’escalation di questa crisi, si registra anche un’eccezionale concentrazione di epidemie in Cina. Nel febbraio 2018 la Cina notifica che l’influenza aviaria dei polli H7N4 è riuscita a fare il salto della specie e colpire una donna [25]. L’H7N4 era stato individuato per la prima volta nel 1997 in Australia, ma non era mai stato riscontrato sull’uomo. Nel giugno dello stesso anno un’epidemia di un altro pericoloso ceppo di influenza aviaria, H7N9, si siffonde sempre in Cina e causa la morte di migliaia di galline, mettendo a rischio il bando di importazioni alimentari dagli Stati Uniti. È la sesta epidemia di H7N9 in Cina nel giro di 5 anni, è in grado di infettare anche l’uomo e può indurre a gravi sintomi respiratori acuti. Nell’agosto sempre del 2018 si diffonde in Cina anche un’epidemia di influenza suina [26] che uccide centinaia di milioni di maiali [27], mettendo a maggior ragione in discussione il bando governativo di non importare carni dagli Stati Uniti. Nel giugno del 2019 si verifica una massiva infestazione di lepidotteri in ben 14 regioni cinesi, in grado di distruggere 8.500 ettari di culture di grano, mais e soia, ancora una volta prodotti che la Cina non vorrebbe importare ma che ne è costretta dalle circostanze. Nel frattempo anche il tasso di incidenza della normale influenza aumenta costantemente in Cina [28]. Come noto nel dicembre del 2019 viene certificata l’epidemia del nuovo COVID-19, ma non è finita qui. All’inizio di febbraio del 2020 le autorità cinesi rilevano casi di influenza aviaria H5N1 [29] a Shaoyang, che porta all’abbattimento di 20mila polli, mentre nel marzo del 2020 si registra un morto cinese di una possibile ulteriore epidemia, quella da hantavirus [30], l’ennesimo patogeno in grado di provocare una grave sindrome polmonare nel medesimo paese nel giro di soli due anni.
Anche in questo caso sarebbe facile intravedere un’intuitiva correlazione tra l’escalation della guerra commerciale e quella delle epidemie cinesi, ipotizzando che siano parte di una guerra ibrida statunitense contro la Cina. In questo caso la tesi di gran lunga maggioritaria è che militari statunitensi abbiano colto l’incredibile occasione di operare sul suolo cinese offerta dai Military World Games [31], organizzati proprio a Wuhan e proprio nel periodo in cui ipoteticamente è cominciata l’epidemia di COVID-19, cioè fine ottobre 2019. Questo evento sportivo multidisciplinare riservato ai militari s’è svolto principalmente al Wuhan Sports Center, posto a soli 17km dall’Huanan Seafood Wholesale Market e a 20km dal Wuhan Institute of Virology. Secondo la vulgata anticomplottista questo evento non ha fornito un pretesto per l’introduzione del virus in Cina, ma al massimo potrebbe aver involontariamente contribuito al diffondersi della pandemia nel resto del mondo. Per i sostenitori della tesi di un COVID-19 come arma biologica statunitense per destabilizzare la Cina, invece, questa è intesa come una sorta di pistola fumante. L’esaltazione di aver trovato una possibile arma del delitto oscura spesso il fatto che il movente non è così solido come si suppone, dato che gli stessi Stati Uniti si apprestano ad essere di gran lunga il paese più colpito da questa pandemia.
Si deve comunque ricordare che già con la pandemia di SARS-CoV del 2002 sono stati avanzati sospetti che fosse un’arma biologica statunitense progettata per colpire la Cina, anche perché effettivamente è stata prevalentemente circoscritta in quel paese. Quel coronavirus aveva una peculiarità singolare, aveva la capacità di infettare i maschi cinesi molto più di qualsiasi altra popolazione del mondo e questo è un requisito di un’arma biologica, come richiesto sin dal 1998 dal direttore della CIA William Casey. A dicembre del 2019 ricercatori cinesi hanno pubblicato una ricerca che sembra chiarire perché i cinesi potrebbero essere maggiormente esposti a questi coronavirus. <È stato segnalato che 2019-nCov condivide lo stesso recettore, l’enzima 2 di conversione dell’angiotensina (ACE2), con SARS-Cov. Qui sulla base del database pubblico e della tecnica RNA-Seq a cella singola all’avanguardia, abbiamo analizzato il profilo di espressione dell’RNA ACE2 nei normali polmoni umani. Il risultato indica che l’espressione del recettore del virus ACE2 è concentrata in una piccola popolazione di cellule alveolari di tipo II (AT2). Sorprendentemente, abbiamo scoperto che questa popolazione di AT2 che esprime ACE2 esprimeva anche molti altri geni che regolano positivamente la riproduzione e la trasmissione virale. Un confronto tra otto singoli campioni ha dimostrato che il maschio asiatico ha un numero estremamente elevato di cellule che esprimono ACE2 nel polmone> [32].
Abbiamo però altri elementi da aggiungere per avere una visione complessiva. Qualsiasi esperto di biowarfare sa che la più importante struttura militare per lo studio di armi biologiche al mondo sia Fort Detrick, nel Maryland, ed è quindi in questo luogo che prima di tutto andrebbe a cercare qualche indizio a sostegno della tesi di una possibile ingegnerizzazione del COVID-19 negli Stati Uniti, anche se ufficialmente, dopo la Guerra Fredda, è stato riconvertito a centro di ricerca per la protezione da patogeni. Proprio il 2 agosto del 2019, all’apice della crisi Stati Uniti – Cina, Fort Detrick è stato chiuso a tempo indeterminato a seguito di un’ispezione del Centers for Disease Control and Prevention (CDC). In giugno gli ispettori hanno riscontrato diverse criticità nelle procedure operative standard, che sono in atto per proteggere i lavoratori nei laboratori di livello 3 e 4 di biosicurezza, come confermato dalla portavoce Caree Vander Linden [33]. Il dettaglio del report è però coperto da segreto di stato in quanto persistono ovvie implicazioni sulla sicurezza nazionale.
In questo caso il complottismo ha assunto una valenza geopolitica. Questo evento è al centro delle accuse verso gli Stati Uniti da parte della Cina, che chiede spiegazioni in merito, soprattutto attraverso il portavoce del Ministero degli Esteri Lijan Zhao. La tesi cinese [34] [35] è che la chiusura di Fort Detrick possa essere un tentativo di censurare un’epidemia di COVID-19 negli Stati Uniti, virus che solo successivamente sarebbe arrivato in Asia.
Per sostenere questa teoria si punta il dito su una misteriosa epidemia che ha provocato gravi patologie polmonari a circa 10mila persone, registrata negli Stati Uniti nell’agosto del 2019, proprio a seguito della chiusura di Fort Detrick. Tra le vittime dell’epidemia di questa non identificata grave malattia polmonare ci sono anche molti giovani, le cui morti sono imputate da parte del CDC [36] all’uso delle sigarette elettroniche. A posteriori però non è stata riscontrata alcuna correlazione con alcuna marca particolare di sigarette elettroniche o uno specifico additivo. Nel dicembre del 2019 questa misteriosa malattia, chiamata EVALI, che il CDC non correla ad alcun virus, copre tutto il territorio degli Stati Uniti e porta a 47 decessi ufficiali, che salgono a 60 il 21 gennaio 2020 assieme a 2.711 ricoverati in terapia intensiva. Anche questi necessitano di ventilazione polmonare come i malati di COVID-19. Secondo il CDC però il tasso complessivo di mortalità per polmonite e influenza negli Stati Uniti rimane nella media stagionale [37], per cui non ci sarebbe stata alcuna indicazione di epidemia anomala. Solo il 12 marzo 2020, quando è accertato che il COVID-19 sia arrivato sul suolo americano, il direttore del CDC, Robert Redfield, ha ammesso che alcuni casi diagnosticati come influenza stagionale avrebbero potuto essere coronavirus. Un caso di decesso da generico “coronavirus” è stato per esempio trovato nel certificato di morte di una donna in Colorado sin da febbraio. David Stilwell, Assistant Secretary of State for the Bureau of East Asian and Pacific Affairs, ha risposto duramente alle accuse di Lijan Zhao: <la Cina sta cercando di deviare le critiche per il suo ruolo nell'avvio di una pandemia globale e nel non dirlo al mondo. Diffondere teorie della cospirazione è pericoloso e ridicolo. Volevamo mettere in guardia il governo sul fatto che non lo tollereremo, per il bene del popolo cinese e del mondo> [38].
L’ambasciata cinese a Parigi alimenta le polemiche con tre tweet del 23 marzo, ognuno con una domanda precisa verso gli Stati Uniti: <Prima domanda: quanti casi di COVID-19 ci sono stati tra i 20 mila morti per l’influenza cominciata nel settembre scorso? Gli Stati Uniti hanno forse tentato di mascherare la polmonite del nuovo coronavirus con la normale influenza? La seconda domanda riguarda l’improvvisa chiusura, a luglio scorso, del più grande centro di ricerca americano di armi biologiche, la base di Fort Detrick, in Maryland. Dopo la chiusura del centro sono comparsi negli Stati Uniti una serie di casi di polmonite o di malattie simili. Terza domanda: perché numerosi alti funzionari americani hanno venduto molti titoli azionari prima del tonfo della borsa, pur continuando ad assicurare alla popolazione che negli Stati Uniti l’epidemia di COVID-19 era sotto controllo?>
Già il 23 febbraio del 2020, circa un mese prima delle accuse di Lijan Zhao, la tv giapponese Asahi aveva trasmesso un’inchiesta in cui si sosteneva che ci fossero già molti morti da COVID-19 negli Stati Uniti non certificati dai CDC, che hanno seccamente smentito [39]. Ma è più interessante la tesi di un virologo di Taiwan trasmessa il 27 febbraio sulla tv nazionale [40], secondo la quale il COVID-19 può essere nato solo negli Stati Uniti in quanto è l’unico paese in cui sono presenti tutti i cinque aplotipi (ceppi) noti del virus, mentre la Cina, per esempio, ne ha solo uno, come anche Taiwan, Corea del Sud, Thailandia, Vietnam, Singapore, Inghilterra, Belgio e Germania. Anche i genomi dei virus in circolazione in Iran e Italia sono differenti da quello Cinese, a testimonianza che il virus non verrebbe da lì. Nel video si riprende l’accusa ai CDC statunitensi di aver derurbicato 200 casi di morti con “fibrosi pomonare” come dovute alle sigarette elettroniche, mentre secondo il ricercatore taiwanese sarebbero casi sospetti di COVID-19.
È infatti appurato che non esista un solo COVID-19 ma diversi ceppi differenti e attualmente privi di connessione certa, come ben evidenziato sul sito nextstrain.
Prima della Cina anche l’Iran ha accusato gli Stati Uniti di guerra biologica. Hossein Salami, capo della Guardia Rivoluzionaria, ha detto il 5 marzo 2020: <è possibile che questo virus sia il prodotto di un attacco biologico dell'America che inizialmente si è diffuso in Cina e poi in Iran e nel resto del mondo. […] L'America dovrebbe sapere che questo virus tornerà ad esso se fosse dietro di esso>. Il 15 marzo 2020 Ayatollah Seyyed Ali Khamenei rifiuta l’offerta di aiuto da parte degli Stati Uniti in relazione alle accuse di bioingegneria del virus, <siete accusati di aver creato questo virus. Abbiamo diversi nemici, ma i più cattivi di loro sono gli Stati Uniti>, e gli consiglia di usare le loro risorse per loro stessi, ammesso che ne abbiano realmente a sufficienza. Il 18 marzo 2020 scienziati iraniani scrivono una lettera indirizzata ai leader di Afghanistan, Georgia, Iraq, Kazakistan, Kirghizistan e Pakistan per considerare l’immediata distruzione di tutti i laboratori biologici statunitensi nei loro paesi a scopo precauzionale contro la pandemia, intesa come una forma di guerra biologica: <ci sono state molte prove sia nei principali articoli scientifici del mondo che nei media, citando genetisti e biologi e documenti di WikiLeaks, che rafforzano le speculazioni sulla manipolazione di COVID-19 nei laboratori biologici e un attacco biologico da parte degli Stati Uniti attraverso il virus contro i paesi rivali> [41].
È in effetti curioso constatare che proprio i peggiori nemici degli Stati Uniti, Cina e Iran, abbiano subito inizialmente i peggiori focolai di COVID-19. A questi si aggiunge lo storico alleato italiano, con cui però la White House ha un conto in sospeso sin da quando ha aderito senza il suo consenso alla Via della Seta cinese nel marzo del 2019. Il più esplicito è stato come sempre il Segretario di Stato, Mike Pompeo, che ha fatto capire che l’Italia ha tradito formalmente gli interessi primari statunitensi: <chi si schiera con la Cina pagherà il conto> [42], <avrete un danno ad andare con la Cina>.
Non ci sono solo dichiarati nemici degli Stati Uniti a ventilare questa ipotesi, ma anche analisti del calibro dell’ex agente di contro-terrorismo della CIA, Philip Giraldi, attualmente Executive Director of the Council for the National Interest. Si spinge ad ipotizzare [43] una partnership USA-Israele nella produzione di armi non convenzionali, come sarebbe già accaduto nel 2010 con il virus Stuxnet con cui sarebbero state contaminate le strutture nucleari iraniane. Per sostenere la sua tesi di un’origine antropogenetica del COVID-19 afferma anche lui che diversi rapporti suggeriscono che i componenti del nuovo virus siano correlati all’HIV e che quindi non possono generarsi da soli. Inoltre non trova un’evidente correlazione tra consumo di carni di pipistrello in Cina e scoppio dell’epidemia di coronavirus, in quanto, secondo lui, il consumo di quell’animale è più frequente nelle province dove ci sono stati meno casi. Giraldi afferma infine che l’unica spiegazione al fatto che gli israeliani abbiano annunciato l’arrivo di un vaccino per il COVID-19 in soli 90 giorni dall’inizio della pandemia è che conoscessero il virus almeno dall’anno prima.
Ad attirare le attenzioni dei più sospettosi c’è anche il fatto che il 7 ottobre 2019 la US Army annuncia “DEFENDER-Europe 20”, <il più grande dispiegamento di forze con base negli Stati Uniti in Europa per un esercitazione negli ultimi 25 anni. […] L'esercitazione congiunta di formazione multinazionale si svolgerà da aprile a maggio 2020, con movimenti di personale e attrezzature da febbraio a luglio 2020. L'esercitazione sostiene gli obiettivi definiti dalla NATO per creare prontezza all'interno dell'alleanza e scoraggiare potenziali avversari. Si prevede che circa 37.000 membri del servizio nazionale degli Stati Uniti, degli alleati e dei paesi partner parteciperanno con circa 20.000 soldati schierati dalle unità partecipanti degli Stati Uniti che includeranno un quartier generale della divisione dell'esercito americano, tre squadre di combattimento di brigate corazzate, una vigili del fuoco e una brigata di sostentamento; così come la prevista partecipazione di US Air Force, US Navy e Marine Corps> [44]. Se per ogni esperto di geopolitica questa esercitazione è giustificata da una volontà di rilanciare il ruolo della NATO e rafforzare la collaborazione europea in funzione anti-russa e anti-cinese, per i complottisti è invece una prova che gli Stati Uniti sapessero in anticipo dello scoppio di un’emergenza sanitaria e temevano destabilizzazioni di cui la Russia o la Cina avrebbero potuto approfittare.
[35] https://www.washingtontimes.com/news/2020/mar/12/us-army-brought-coronavirus-wuhan-chinese-foreign-/
> continua in L'ombra globalista della pandemia