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COVID-19, naturale o antropico?

Sin dalla sua comparsa ufficiale nel dicembre del 2019, i media hanno divulgato l’ipotesi che l’epicentro della diffusione del nuovo coronavirus, poi denominato COVID-19, sia il Huanan Seafood Wholesale Market, cioè un grosso mercato di animali vivi e frutti di mare a Wuhan in Cina. La World Health Organization (WHO) conferma questa ipotesi in un report del 31 dicembre 2019: <un gruppo di pazienti con polmonite di causa sconosciuta è stato collegato a un mercato all'ingrosso di frutti di mare a Wuhan, in Cina. Un betacoronavirus precedentemente sconosciuto è stato scoperto attraverso l'uso di sequenziamento imparziale nei campioni di pazienti con polmonite. Le cellule epiteliali delle vie aeree umane sono state utilizzate per isolare un nuovo coronavirus, denominato 2019-nCoV, che formava un clade all'interno del sottogenere sarbecovirus, sottofamiglia degli Orthocoronavirinae. Differente dal MERS-CoV e dal SARS-CoV, 2019-nCoV è il settimo membro della famiglia dei coronavirus che infetta l'uomo. È in corso una sorveglianza rafforzata e ulteriori indagini> [1]. La tesi dell’epicentro allo Huanan Seafood Wholesale Market sembra trovare conferma dal fatto che la maggior parte dei primi ricoverati a causa nel nuovo coronavirus hanno avuto contatti con quel luogo.



Avendo dato una prima risposta convincente al “dove” e al “quando”, occorre cercare di capire il “come”. La prima ipotesi considerata è che questo coronavirus fosse presente in una qualche specie animale e che abbia effettuato uno “spillover”, cioè un salto della specie, per arrivare in un’altra popolazione ospite, sfortunatamente l’uomo. Dopo tutto la maggioranza dei virus umani sono zoonotici, cioè trasmissibili dagli animali all’uomo. I sospetti cadono subito sui pipistrelli, commerciati vivi al Huanan Seafood Wholesale Market, dato che a questa specie è già stata imputata l’origine dell’epidemia di SARS-CoV (severe acute respiratory syndrome coronavirus) del 2003, anche questa con presumibile epicentro in un mercato cinese (a Guangdong). Negli anni successivi diversi studi scientifici hanno riscontrato una vicinanza genetica tra i coronavirus che infettano il pipistrello e l’uomo [2] [3] e hanno studiato la possibilità che possa verificarsi nuovamente un possibile ulteriore salto della specie. In una certa misura questa nuova pandemia era quindi prevedibile, se non attesa.

A corredo di questa narrazione il direttore del Center for Infectious Disease Research and Policy dell’Università del Minnesota, Michael Osterholm, sostiene che il mercato di Wuhan abbia tutti gli ingredienti per una “epidemia perfetta”, in quanto vengono macellati sul posto una incredibile varietà di animali, dai pangolini ai cervi, dagli insetti ai cavalluci marini, dai cani ai pipistrelli. I media italiani calcano ampiamente su questa teoria insinuando gravi sospetti nei confronti di standard igienici primitivi o inesistenti in Cina e illazioni su tare culturali retrograde, soprattutto alimentari. A tal punto che in Italia si diffondono preoccupanti episodi di razzismo sinofobico, contrastati da imbarazzanti iniziative antirazziste che invitano invece ad abbracciare cinesi in barba alle norme sul distanziamento sociale per evitare il diffondersi del contagio.


Premesso questo, come mai si sono diffuse teorie secondo le quali questo virus non sia naturale, ma creato dall’uomo?


In Italia questo tipo di complottismo è associato principalmente ad un video estratto dall’autorevole TGR Leonardo del 16/11/2015: <scienziati cinesi creano un supervirus polmonare da pipistrelli e topi. Serve solo per motivi di studio, ma sono tante le proteste. Vale la pena rischiare? È un esperimento, certo, ma preoccupa tanti scienziati. Un gruppo di ricercatori cinesi innesta una proteina presa dai pipistrelli su un virus della SARS, la polmonite acuta, ricavato da topi e ne esce un supervirus che potrebbe colpire l’uomo. Resta chiuso nei laboratori, ovvio, serve solo per motivi di studio, ma vale la pena correre il rischio, creare una minaccia così grande solo per poterla esaminare? […] un esperimento realizzato in Cina, dove un gruppo di studiosi è riuscito a sviluppare una chimera, un organismo modificato innestando una proteina superficiale di un coronavirus trovato nei pipistrelli della specie piuttosto comune, detta naso a ferro di cavallo, su un virus che provoca la SARS, la polmonite acuta, anche se in forma non mortale, nei topi. Si sospettava che la proteina potesse rendere l’ibrido adatto a colpire l’uomo e l’esperimento l’ha confermato. E proprio questa molecola detta SHCO14 che permette al coronavirus di attaccarsi alle nostre cellule respiratorie e scatenando la sindrome. Secondo i ricercatori, inoltre, l’organismo, quello originale e a maggior ragione quello ingegnerizzato, può contagiare l’uomo direttamente dai pipistrelli e senza passare per una specie intermedia come il topo ed è appunto questa eventualità a sollevare molte polemiche. Proprio un anno fa il governo USA aveva sospeso i finanziamenti alle ricerche che puntavano a rendere i virus più contagiosi, ma la moratoria non aveva fermato il lavoro dei cinesi sulla SARS, che era già in fase avanzata e si riteneva non così pericoloso. Secondo una parte del mondo scientifico, infatti, non lo è. Le probabilità che il virus passi alla nostra specie sarebbero irrilevanti rispetto ai benefici. Un ragionamento che molti altri esperti bocciano. Primo perché il rapporto tra rischio e beneficio è difficile da valutare e poi perché, specie di questi tempi, è bene non mettere in circolazione organismi che possano sfuggire o essere sottratti al controllo dei laboratori> [4]. La ricerca citata è vera e pubblicata su Nature il 9 novembre del 2015 [5].

Questo video è diventato virale in pochi giorni in Italia nel marzo del 2020, alimentando la suggestione che il COVID-19 sia stato creato in laboratorio, a tal punto che esponenti politici di opposizione l’hanno preso come pretesto per chiedere spiegazioni alla Cina e fare così pressione alla parte dell’esecutivo che si era spesa per il memorandum sulla Via della Seta. Il mondo scientifico precisa subito che il virus SHCO14 del video è differente dal COVID-19 e che ricerche hanno già stabilito una differenza genetica tra i due virus su oltre 5000 nucleotidi [6]. Antonio Lanzavecchia, uno degli autori della ricerca incriminata, sostiene la diversità dei due virus e il fatto che il primo sarebbe effettivamente stato prodotto in laboratorio mentre il secondo sarebbe naturale.

A sostegno di quest’ultima affermazione giunge anche un’apposita ricerca di Kristian Andersen pubblicata su Nature il 17 marzo 2020 destinata a porre fine alla questione: <passiamo in rassegna cosa si può dedurre sull'origine di SARS-CoV-2 dall'analisi comparativa dei dati genomici. Offriamo una prospettiva sulle notevoli caratteristiche del genoma SARS-CoV-2 e discutiamo gli scenari in base ai quali potrebbero essere sorti. Le nostre analisi mostrano chiaramente che SARS-CoV-2 non è un costrutto di laboratorio o un virus appositamente manipolato> [7].

Quindi possiamo mettere un punto definitivo alla domanda se il COVID-19 s’è generato in natura senza l’intervento umano? No, a dire il vero siamo solo all’inizio di questa storia.


Prima di tutto, è irrilevante che la ricerca del 2015 non riguardasse il COVID-19, ma un coronavirus differente. Ha comunque dimostrato che l’ingegneria genetica è effettivamente in grado da diversi anni di produrre patogeni in grado di infettare l’uomo partendo da coronavirus di specie animali.

È inoltre bene precisare che le altre su citate ricerche scientifiche non esprimono una certezza sull’origine naturale del COVID-19, ma solo una sua “probabilità”, il che è nettamente differente: <è improbabile che SARS-CoV-2 sia emerso attraverso la manipolazione di laboratorio di un coronavirus simile a SARS-CoV-like. Come notato sopra, l'RBD di SARS-CoV-2 è ottimizzato per l'associazione all'ACE2 umano con una soluzione efficiente diversa da quelle precedentemente previste. Inoltre, se fosse stata eseguita la manipolazione genetica, sarebbe probabilmente stato usato uno dei numerosi sistemi genetici inversi disponibili per i betacoronavirus. Tuttavia, i dati genetici mostrano inconfutabilmente che SARS-CoV-2 non deriva da nessuna spina dorsale di virus precedentemente utilizzata> [8]. Ma nulla vieta che se ne sia voluta utilizzare una nuova al di fuori della ricerca scientifica condivisa.


Esiste un altro problema tutt’altro che irrilevante, il coronavirus (RaTG13) prelevato da un pipistrello della specie incriminata, il più simile al COVID-19 che sia al momento stato trovato, è solo <circa il 96% identico in generale a SARS-CoV-2, il suo picco diverge nell'RBD, il che suggerisce che potrebbe non legarsi efficacemente all'ACE2 umano> [9], come invece fa il COVID-19. Corrono in aiuto alla tesi della genesi naturale altri coronavirus ritrovati nei pangolini malesi, che <mostrano una forte somiglianza con la SARS-CoV-2 nell'RBD, inclusi tutti e sei i residui chiave dell'RBD21>, purtroppo la differenza generale nel genoma è superiore a quella del virus dei pipistrelli. <Né i betacoronavirus di pipistrello né i betacoronavirus di pangolino campionati finora hanno siti di scissione polibasici. Sebbene non sia stato identificato alcun coronavirus animale sufficientemente simile da essere il progenitore diretto della SARS-CoV-2, la diversità dei coronavirus nei pipistrelli e in altre specie è fortemente sottocampionata. Mutazioni, inserzioni ed eliminazioni possono verificarsi vicino alla giunzione S1-S2 dei coronavirus22, il che dimostra che il sito di scissione polibasico può derivare da un processo evolutivo naturale> [10]. In definitiva è ovviamente “possibile”, anche se non ancora dimostrato, che il COVID-19 sia frutto di una mutazione genetica naturale, ma allo stesso tempo non è impossibile che non lo sia ed è ammesso nella stessa ricerca pubblicata sua Nature che è stata presa come riferimento per la certificazione che il virus fosse naturale: <al momento è impossibile provare o confutare le altre teorie sulla sua origine descritte qui>. Se quindi si voleva utilizzare questa ricerca per mettere un punto sulla questione, questo sarà un punto interrogativo.


La narrazione dipende sempre dagli elementi che scegliamo o meno di considerare. Il 22 febbraio 2020, per esempio, viene pubblicata su ChinaXiv una ricerca che afferma che l’epidemia del nuovo coronavirus non ha avuto origine nell’Huanan Seafood Wholesale Market di Wuhan, ma che sia stata introdotta da un altro luogo a partire dall’8 dicembre del 2019 [11], anche questa ignorata dal main stream.


Soffermiamoci ora su un aspetto cardine della ricerca scientifica su cui si tende a fare facilmente confusione. Se il nuovo coronavirus non si fosse generato in natura per naturali mutazioni genetiche, ma fosse invece il frutto di ingegneria genetica, non vale il presupposto che si possa ricostruirne la traettoria partendo per esempio dai sistemi genetici conosciuti e condivisi di betacoronavirus, in quanto esiste una ricerca scientifica che è totalmente avulsa alle pratiche di pubblica condivisione del peer-to-peer, cioè la “biological warfare”, la ricerca militare sulla guerra biologica. Che senso ha quindi fermarsi di fronte alla constatazione che nella ricerca scientifica peer-to-peer nessuno abbia condiviso evidenti prove di una ipotetica costruzione in laboratorio del COVID-19, quando chi potrebbe averlo fatto dovrebbe aver seguito logiche militari di assoluta segretezza?


Dovremmo quindi chiedersi ora, esiste un qualche esperto in ingegneria genetica o, meglio, in biowarfare che possa darci qualche indicazione sulla possibilità che il COVID-19 possa essere stato creato in un laboratorio militare? In realtà ce ne sono diversi.


Il 30 gennaio 2020, il giorno in cui il WHO dichiara l’emergenza sanitaria, James Lyons-Weiler, fondatore dell'Institute for Pure and Applied Knowledge (IPAK), è intervenuto alla trasmissione HighWire [12] per illustrare il risultato di una sua ricerca [13] che spiega in che modo la sequenza genetica del coronavirus resa pubblica dai ricercatori cinesi contenga un "frammento medio" che codifica una proteina spike della SARS che sembra, secondo la sua analisi genomica, essere stata inserita nel virus 2019-nCoV usando la tecnologia "pShuttle". Questa tecnica può essere eseguita solo in laboratorio, poiché non si è mai verificata naturalmente in natura. I punti da lui sostenuti sono i seguenti: la bassa somiglianza genetica del frammento medio del nuovo virus rispetto a quelli noti, l’elevata somiglianza con la proteina di picco della SARS, la significativa somiglianza di sequenza del frammento medio del genoma 2019-nCoV con un vettore pShuttle che era in uso alla fine degli anni '80 in Cina per creare un coronavirus più immunogenico.

Tra le opinioni a sostegno dell’ipotesi antropogenica, spicca sicuramente quella di Francis Anthony Boyle, un professore di diritto internazionale presso il College of Law dell'Università dell'Illinois, che è nientemeno colui che nel 1989 ha redatto la legislazione statunitense di attuazione della Biological Weapons Convention del 1972 (nota anche come Biological Weapons Anti-Terrorism Act [14]). Sempre il 30 gennaio 2020 Francis Boyle rilascia un’intervista per Geopolitics & Empire in cui sostiene la tesi che il COVID-19 sia un’arma biologica e che si sia diffusa dal Wuhan Institute of Virology, che è guarda caso l’unico laboratorio BSL-4 (con biosafety di livello massimo) attivo in Cina ed è effettivamente situato a soli 15km dall’incriminato Huanan Seafood Wholesale Market. <Mi sembra che il Wuhan BSL-4 sia la fonte del coronavirus. La mia ipotesi è che stessero facendo ricerche sulla SARS e l’abbiano armata ulteriormente dandogli un aumento di proprietà funzionali, il che significa che potrebbe essere più letale. […] Sembra che il coronavirus con cui abbiamo a che fare qui sia un'arma offensiva di guerra biologica che è balzato fuori da Wuhan BSL-4. Non sto dicendo che è stato fatto deliberatamente. Ma ci sono state precedenti segnalazioni di problemi con quel laboratorio e cose che ne sono trapelate. Temo che sia quello di cui ci occupiamo oggi> [15].

Giusto il giorno successivo a queste eclatanti affermazioni, il 31 gennaio 2020, viene pubblicato una ricerca peer-to-peer su bioRxiv, dal titolo “Inquietante somiglianza di inserti unici nella proteina spike del 2019-nCoV con HIV-1 gp120 e Gag”. <Abbiamo trovato 4 inserimenti nella spike glycoprotein (S) che sono unici per il 2019-nCoV e non sono presenti in altri coronavirus. È importante sottolineare che i residui di aminoacidi in tutti e 4 gli inserti hanno identità o somiglianza con quelli dell'HIV-1 gp120 o dell'HIV-1 Gag. È interessante notare che, nonostante gli inserti siano discontinui sulla sequenza primaria di aminoacidi, la modellazione 3D del 2019-nCoV suggerisce che convergono per costituire il sito di legame del recettore. È improbabile che sia accidentale in natura la scoperta di 4 inserti unici nel 2019-nCoV, ognuno dei quali abbia identità / somiglianza con i residui di aminoacidi nelle proteine strutturali chiave dell'HIV-1> [16].

Non è di dominio pubblico da quanto tempo i coronovirus siano studiati nei laboratori militari per produrre armi biologiche, ma è facile ipotizzare che lo siano da molto prima che questi patogeni siano impiegati nell’industria farmaceutica. Esistono infatti già da diversi anni pubblici brevetti per la produzione di coronavirus attenuati pensati per essere introdotti nei vaccini commerciali. Per esempio il Pirbright Institute, parte del Biotechnology and Biological Sciences Research Council (BBSRC) del Governo britannico, il 23 luglio 2015 ha presentato un brevetto per la produzione di <un coronavirus attenuato comprendente un gene replicante variabile, che provoca una ridotta patogenicità del virus. La presente invenzione riguarda anche l'uso di un tale coronavirus in un vaccino per prevenire e/o trattare una malattia> [17]. In questo caso si parla del virus della bronchite infettiva (IBV), che è un coronavirus che infetta pollame, e il deltacoronavirus suino che infetta i suini. Dopo la comparsa del COVID-19 l’istituto ha dovuto precisare che questo brevetto ha come obiettivo un vaccino per prevenire le malattie respiratorie negli uccelli e in altri animali e non interessa l’uomo. Ma ammette anche che questa sia una pratica molto diffusa in questo tipo di ricerca anche per cure dedicate all’uomo: <molti vaccini vengono prodotti in questo modo, dall'influenza alla poliomielite> [18].


È quindi certo che la ricerca sia in grado da anni di manipolare coronavirus. Questo non dimostra in alcun modo che il COVID-19 sia frutto di bioingegneria, ma accerta solo che non si possa scartare a priori tale eventualità. Se poi tutto questo non fosse ancora ritenuto sufficiente per cominciare a prendere in considerazione l’ipotesi di un’origine antropica del COVID-19, dovremmo comunque farlo se non altro per la sua enorme valenza geopolitica, dato che alti rappresentanti dei più importanti paesi del mondo si sono rispettivamente accusati di aver ingegnerizzato il virus, tra cui gli Stati Uniti, la Cina e l’Iran.

P.S: C’è da segnalare che già dal 2018 è emersa una sospetta interferenza tra il comune vaccino antinfluenzale e coronavirus. Ricerche in merito hanno cercato di sostenere l’idea di una non interferenza, ma hanno comunque ammesso che <esaminando specificamente i virus non influenzali, le probabilità sia del coronavirus che del metapneumovirus umano negli individui vaccinati erano significativamente più elevate rispetto agli individui non vaccinati (OR = 1,36 e 1,51, rispettivamente)> [19]. Ricerche come questa hanno indotto il deputy chief medical officer for England, Jonathan Van-Tam, a sostenere il 17 marzo 2020: <non voglio entrare troppo nel dettaglio in ogni singolo gruppo a rischio, ma stiamo dicendo che sono le persone a cui vengono offerti vaccini antinfluenzali, oltre ai bambini, che rientrano in quella categoria di rischio, persone per le quali il consiglio è molto forte sul distanziamento sociale> [20]. Per questo viene consigliato l’autoisolamento per ben 12 settimane a chi è stato vaccinato e questo proprio nel paese che ha adottato le misure più blande nell’opporsi alla pandemia per arrivare il più breve tempo possibile ad una immunità di gregge.




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