La leggenda dei "Mille"
Il 1860 fu anche l’anno della vera gloria per Garibaldi, della definitiva trasfigurazione ad eroe nazionale per la cosiddetta “impresa dei 1000”. Secondo la storia ufficiale Giuseppe Garibaldi, solo a capo di un manipolo di un migliaio di volontari armati alla meno peggio, riuscì addirittura a conquistare il Regno delle Due Sicilie (regno di 700 anni che vantava un esercito di centomila uomini e la seconda marina del continente!), per consegnarlo a Vittorio Emanuele II di Savoia. Tutto ciò sembrerebbe incredibilmente inverosimile se non fosse scritto in tutti i libri di storia. Ma la realtà è ovviamente ben diversa e più che altro l’intervento militare di Garibaldi non fu molto di più di un semplice atto formale di facciata, senza combattere con alcun esercito regolare. Infatti solo dopo il compimento di tutti gli atti preparatori, della meticolosa pianificazione di La Farina e Cavour, massonico-sabauda, il pesante appoggio politico, diplomatico-mediatico, economico, militare e logistico della Gran Bretagna di Lord Palmerston, della criminalità siciliana mazziniana, della parte filo-massonica della borghesia del sud, dei generali borboni comprati ed infine del risolutivo intervento dell’esercito del Regno di Sardegna contro le armate borboniche di re Francesco II, pure convinto dal suo ministro dell’interno Liborio Romano (manco a dirlo massone) a lasciare il regno e rinunciare ad una legittima difesa… venne infine il momento della favolosa “impresa dei Mille”.
Garibaldi era il prescelto della massoneria internazionale come leader del movimento rivoluzionario che avrebbe dovuto portare a compimento la storica unificazione. La scelta del nizzardo venne direttamente dal Comitato Rivoluzionario Internazionale di Londra e fu dettata dal fatto che i vari leader rivoluzionari italiani, Mazzini e il suo Partito d’Azione in primis, erano già ampiamente screditati nella penisola, mentre il mito di Garibaldi “patriota dell’America Latina” era ancora intatto. Per l’occasione Garibaldi fu obbligato a rinnovare la sua fede massonica con il seguente giuramento solenne: <Fa ora con noi il nostro giuramento supremo: Io giuro di non aver altra patria che la patria universale; giuro di combattere ad oltranza, sempre e da per tutto, per la soppressione dei confini che circoscrivono le nazioni, i campi, le case, gli opifici, le famiglie; giuro di rovesciare, sacrificando la mia vita, la barriera su cui i carnefici dell'umanità hanno scritto col sangue e col fango il nome di Dio>.
A dispetto di questo solenne incarico Garibaldi non era certo ben visto dal governo piemontese, nè dagli alti gradi della stessa massoneria italiana, che ben conoscevano la sua reale caratura e non si fidavano pienamente. Fu il massone Giuseppe La Farina della Società Nazionale a far conoscere Garibaldi a Cavour e a convincere definitivamente quest’ultimo ad accettarlo. L’odio tra i due era però reciproco, a tal punto che Garibaldi chiese addirittura le dimissioni di Cavour come condizione per il suo intervento militare, pretesa irrealistica che naturalmente non venne presa in considerazione, ma che esemplifica l’ego smisurato garibaldino. Lo stesso La Farina aggiunse ombre sull’eroicità di Garibaldi in una lettera in cui diceva che: <Gl’indugi alla partenza vennero da Garibaldi e da’ suoi amici, i quali dicevano quella impresa una follia. Garibaldi si decise a partire, quando seppe che i Siciliani sarebbero partiti senza di lui. Questa è la verità vera>.
Il 6 maggio 1860 Garibaldi partì da Quarto in Liguria con 1089 avventurieri di varia origine su navi fornite dal massone G.B. Fauché e pagate da re Vittorio Emanuele II e Cavour. Il 7 maggio la spedizione si fermò a Talamone per nuovi rifornimenti bellici piemontesi e altri 2000 uomini (nei mesi successivi se ne aggiunsero altri 20000) . Per l’occasione avvennero i consueti saccheggi locali nell’ormai consolidato stile garibaldino e intanto 230 uomini, con a capo Zambianchi, cercarono di promuovere come diversivo una sommossa negli Abruzzi ma furono messi in fuga.
L’11 maggio lo sbarco in Sicilia avvenne non a caso a Marsala, feudo britannico, sotto protezione di due navi inglesi (la Argus e l’Intrepid) e la supervisione dell’ammiraglio Persano inviato da Cavour. Dal diario del generale sabaudo Persano scopriamo che il suo scopo principale compito era quello di <proteggere-tallonare-controllare Garibaldi, organizzare l’invio di uomini e armi che affianchino i Mille, corrompere i quadri della marina e dell’esercito borbonici> (da “I panni sporchi dei Mille” di Angela Pellicciari).
Dalle “Memorie” di Garibaldi: <la presenza dei due legni da guerra Inglesi influì alquanto sulla determinazione dei comandanti de’ legni nemici, naturalmente impazienti di fulminarci, e ciò diede tempo ad ultimare lo sbarco nostro: [...] ed io, beniamino di cotesti Signori degli Oceani, fui per la centesima volta il loro protetto>. L’accoglienza dei locali non fu certo calorosa, secondo il garibaldino Giuseppe Bandi fu “su per giù come si accolgono i cani in chiesa”, dimenticando di essere prima di tutto un invasore e non un liberatore come supposto dalla retorica massonica. Nonostante tutto l’ostilità dei locali non fu armata e Garibaldi potè facilmente prendere possesso della città sotto protettorato britannico.
Il 13 maggio Garibaldi si proclama “dittatore” in nome di re Vittorio Emanuele II, rinnegando subito la presunta fede repubblicana. Sempre dalle “Memorie” di Garibaldi: <si cominciò a parlare di dittatura, ch’io accettai senza replica, poiché l’ho sempre creduta la tavola di salvezza nei casi d’urgenza e nei grandi frangenti in cui sogliono trovarsi i popoli.> Tesi che continuò a sostenere anche dopo il compimento dell’annessione del Sud: <potendolo, e padrona di se stessa, l’Italia deve proclamarsi Repubblica, ma non affidare la sua sorte a cinquecento dottori, che dopo averla assordata con ciarle, la condurranno a rovina. Invece, scegliere il più onesto degli italiani e nominarlo dittatore temporaneo…Il sistema dittatoriale durerà sinchè la Nazione sia più educata a libertà… Allora la dittatura cederà il posto a regolare governo repubblicano>.
Garibaldi marcia quindi verso l’entroterra dove però non si diffondono spontanee insurrezioni popolari come preventivato, ma il supporto della criminalità locale è comunque sufficiente. A Calatafimi avviene il primo vittorioso scontro con l’esercito borbonico che infonde grande fiducia nei rivoluzionari e convince nuovi volontari ad unirsi alla causa sabauda. La storica resa di Palermo alimenta i dubbi di tradimento dei suoi alti funzionari, ma in compenso accresce il mito di Garibaldi. Questo cercò anche di assecondare le richieste dei contadini con la ridistribuzione delle terre, ma li represse duramente a Bronte quando questi minacciarono i possedimenti inglesi. Il 17 giugno Garibaldi emana i suoi primi decreti, puntualmente in favore della sua priorità anticlericale, confiscando i beni dei gesuiti e dei redentoristi e disponendo l’espulsione dei religiosi.
Garibaldi infatti non perse l’occasione per distinguersi anche in questa impresa per le sue quotidiane nefandezze come razzie e atti vandalici, arruolamento di bambini e giustizialismo sommario. Tutto questo sempre con l’appoggio di criminali liberati dalle carceri, compensati con alte cariche militari, questa appunto era la caratura dei famosi Mille che Garibaldi in persona così descrisse incredibilmente nelle sue memorie: <tutti generalmente di origine pessima e per lo più ladra; e tranne poche eccezioni con radici genealogiche nel letamaio della violenza e del delitto>. Gli stessi criminali a cui promise libertà e dominio sulle terre conquistate, non certo ai contadini, considerati da Garibaldi a prescindere come “servi dei preti”. Per questi riprovevoli atti pure letterati garibaldini e rivoluzionari come Giovanni Verga e Luigi Pirandello non negarono dure condanne nelle loro novelle, come “Libertà” o “L’altro figlio”. In quest’ultima la protagonista afferma: <…vossignoria deve sapere che questo Cunebardo diede ordine, quando venne, che fossero aperte tutte le carceri di tutti i paesi. Ora, si figuri vossignoria che ira di Dio si scatenò allora per le nostre campagne. I peggiori ladri, i peggiori assassini, bestie selvagge, sanguinarie, arrabbiate da tanti anni di catena…> Tommasi di Lampedusa invece, nel suo “Il gattopardo”, ha sottolineato benissimo il punto di vista della borghesia fondiaria meridionale, per cui indossare alla convenienza una camicia rossa poteva non solo proteggere i loro possedimenti e benefici acquisiti, ma anche aumentarli sui terreni di proprietà della Chiesa.
Il 20 luglio cadde l’ultima roccaforte borbonica in Sicilia, Messina, e l’isola diventa territorio del re sabaudo. La Sicilia cadde in breve all’anarchia e la resa dell’isola venne firmata nel porto di Palermo non a caso su una nave inglese. Poche ore più tardi arrivò a Palermo Agostino Depretis con un regolare decreto di nomina a “Prodittatore” di Sicilia firmato da Cavour e re Vittorio Emanuele.
Nel mese di agosto Garibaldi arriva in Calabria dove il copione si ripete e gli insorti non trovano una degna opposizione alla loro avanzata, con benestare dei possidenti terrieri improvvisamente passati alla causa annessionista, anche se le milizie presenti in loco preferiscono andare a rafforzare l’esercito regio più che unirsi a quello garibaldino. A questo punto intervenne l’esercito regolare piemontese, sia che Garibaldi avesse avuto successo o meno era previsto e necessario per Cavour prendere il comando delle operazioni. Come pretesto, tra l’8 e il 12 settembre, si scatenò un’insurrezione pilotata in Umbria e Marche in cui Cavour si autoincaricò del ruolo di “normalizzatore” nello Stato Pontificio. L’esercito piemontese conquistò Fano, Pesaro, Perugia e Spoleto e si scontrò con l’esercito pontificio a Castelfidardo. La resa dei papalini, tra cui molti discendenti di casate nobili europee cattoliche, avvenne l’11 settembre e subito dopo anche Ancona venne conquistata con un violento bombardamento terrestre e navale.
Il 12 ottobre l’esercito piemontese, ancora capitanato da Persano, invase da nord il Regno delle Due Sicilie costringendo re Francesco II a ritirarsi a Gaeta. Secondo lo scrittore siciliano Carlo Alianello (uno dei capostipiti del revisionismo del Risorgimento), il 20 ottobre il dittatore Garibaldi <il quale esiliava vescovi, arcivescovi e cardinali, fece grazia a tutti i condannati all’ergastolo e alla galera per delitti comuni. Garibaldi sbarazzava le carceri di quei malfattori, per mettervi ufficiali, magistrati, aristocratici, preti e frati. E così si faceva l’Italia>.
Il 21 ottobre, come già collaudato nel nord Italia, viene ordito un finto plebiscito popolare sotto il controllo militare per formalizzare l’annessione dei territori borbonici. La fine delle ostilità impose a Garibaldi di desistere dal suo ennesimo tentativo di conquistare Roma su infelice consiglio di Mazzini, atto non concordato con Cavour e che ha indotto l’intervento francese in difesa del papa. La sconfitta politica del nizzardo si completa con la non elezione a governatore civile e militare del mezzogiorno come aveva chiesto invano.
Re Federico II resistette a Gaeta fino al 13 febbraio 1861 poi il 17 marzo a Torino si proclama la nascita del Regno d’Italia con Vittorio Emanuele II di Savoia (1820-1878) assunto al titolo ereditario di re d’Italia. A coronamento del suo successo la massoneria ha posto anche un sigillo esoterico nel simbolo stesso della Repubblica Italiana identificato da un pentacolo rovesciato, uno dei simboli satanici più importanti dell’occultismo nonché della massoneria, introdotto per la prima volta nel 1805 da Napoleone, poi ripreso nel 1948 come simbolo definitivo dopo il referendum su repubblica e monarchia.
Neanche il successo dell’unificazione italiana riuscì però a migliorare la reputazione di Garibaldi nei confronti di re Vittorio Emanuele e Cavour, a dispetto della quale era ormai proclamato pubblicamente eroe nazionale. Da una lettera del re a Cavour: <... come avrete visto, ho liquidato rapidamente la sgradevolissima faccenda Garibaldi, sebbene, siatene certo, questo personaggio non è affatto docile, né così onesto come lo si dipinge e come voi stesso ritenete. Il suo talento militare è molto modesto, come prova l’affare di Capua, e il male immenso che è stato commesso qui, ad esempio l’infame furto di tutto il danaro dell’erario, è da attribuirsi interamente a lui che s’è circondato di canaglie, ne ha eseguito i cattivi consigli e ha piombato questo infelice paese in una situazione spaventosa>. A riguardo di questo “danno erariale” commesso da Garibaldi, diversi alti ufficiali lamentano anche la sparizione di “somme di pubblica ragione trovate in Palermo, e delle altre della stessa natura, ma anche più considerevoli trovate in Napoli”.
Cavour invece ebbe un’ultima occasione di scontro con Garibaldi proprio a riguardo alla sorte dell’esercito garibaldino, dato che il nizzardo non voleva che fosse trasferito al nord. Cavour reagì come da sua indole decretando l’immediato scioglimento dell’esercito meridionale.
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