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L’occupazione inglese della Sicilia e la propaganda anti-borbonica (parte 1)

Il mediterraneo a metà dell’800 era il quindi il baricentro delle tensioni geopolitiche che vedevano come primo protagonista l’Impero Britannico, che pur avendo appena perso le colonie americane, avevano ancora l’esercito più forte e cercavano una nuova collocazione strategica internazionale più volta a sfruttare le colonie asiatiche ancora sotto il suo dominio. Gli inglesi erano determinati a competere prima con le forti ambizioni espansionistiche francesi nel Mediterraneo, poi dopo la guerra di Crimea anche di quelle russe.


Sin dagli inizi del XIX l’Inghilterra era quindi interessata al controllo diretto o indiretto del meridione italiano, la Grecia, il regno Ottomano e la costa nordafricana. La politica estera inglese era talmente concentrata sul Mediterraneo che se ne discuteva quasi quotidianamente alla House of Commons, sia per garantire la sicurezza delle rotte del commercio verso l’Asia e con il mediterraneo stesso, sia per proteggere genericamente gli interessi e il benessere dei concittadini inglesi. Anche gli stretti dei Dardanelli e del Bosforo avevano un enorme valore sia commerciale che militare.


Di capitale importanza c’era però soprattutto la cruciale apertura verso i mercati orientali costituita dal canale di Suez che stava costruendo la rivale Francia. Il traffico commerciale inglese da solo arrivò a costituire l’82% di tutto quello del canale, ma era diventato anche la via militare più breve per controllare le colonie inglesi di India, Ceylon, Singapore e British-Burma e inoltre con la Cina di cui monopolizzava allora l’84% del suo commercio estero. Questa via commerciale verrà inaugurata nel 1869, ma era stata agognata dagli inglesi sin da quando avevano occupato lo stretto di Gibilterra (1704) e l’isola di Malta (1800).


In questo quadro è ovvio capire la grande rilevanza strategica costituita da una grande isola in posizione centrale del Mediterrano come la Sicilia, anche per controbilanciare prima l’espansionismo coloniale francese, poi anche quello russo, soprattutto dopo che Ferdinando II aveva assunto un atteggiamento filo-russo durante la guerra di Crimea (1853-1856).


Dal punto di vista economico invece i britannici erano presenti sin dal XVIII secolo con attività produttive in Sicilia ed erano fortemente interessati al monopolio delle sue miniere di zolfo che producevano addirittura l’80% dello zolfo sul mercato mondiale all’epoca, probabilmente la materia prima più preziosa dal punto di vista militare (qualcuno l’ha paragonato all’uranio di oggi). Sotto il regno di re Ferdinando I delle Due Sicilie (1751-1825), o Ferdinando IV di Napoli, alla corte partenopea gli interessi inglesi erano rappresentati direttamente dal Segretario di Stato borbonico Sir John Francis Edward Acton (1736-1811).


Questo perfetto baronetto inglese condusse una politica commerciale fortemente filo britannica sufficiente a garantire l’egemonia dell’Inghilterra nel Mediterraneo. L’ingerenza inglese aumentò in occasione delle invasioni napoleoniche, quando il generale William Bentinck pose la Sicilia sotto protettorato britannico, ottenendo in cambio, oltre al prezioso zolfo, anche le produzioni di olio d’oliva, agrumi e marsala. Finita la guerra l’Inghilterra continuò ad imporre una forte controllo sull’isola come con il trattato commerciale del 26 settembre 1816 con cui impose una riduzione del 10% dei dazi dei prodotti britannici nel Regno delle Due Sicilie, quanto bastava per rendere i prodotti inglesi più convenienti degli stessi napoletani.


In Sicilia le solfatare diventarono in breve l’industria principale fino a produrre 900.000 quintali nel 1832. Si venne a creare una vera e propria bolla economica che toccò il suo picco nel 1833 quando lo zolfo raggiunse comunque un prezzo record di 45 tari per cantaio. Questa scoppio velocemente negli anni successivi: lo zolfo calò a 16,75 tari per cantaio nel 1836 e 13,5 nel 1837 e venne venduto sui mercati ad un prezzo due volte più basso che nelle miniere di provenienza.


Ma la sovrapproduzione comunque non calò per adeguarsi al nuovo prezzo di mercato, perché nessuno voleva uscire da questo settore così potenzialmente ricco e si arrivò quindi a ridurre le paghe dei lavoratori a livelli da fame per sostenere prezzi così bassi. Le miniere era inoltre luoghi fortemente insalubri per i fumi dello zolfo, con condizioni igieniche inesistenti, il largo impiego di minori, metodi di estrazione rudimentali e pericolosi che non vi era nessuna intenzione di migliorare data la già grande sovrapproduzione.


Lo stesso John Acton sostenne che: <Gli Inglesi venivano incolpati di impiegare mezzi di sfruttamento inadeguati e di badare soltanto ad arricchirsi egoisticamente>. Il boom dello zolfo ebbe tra l’altro anche un effetto deleterio per il comparto agrario con la sottrazione di manodopera e terreni.


Dal 1830 il re del regno delle Due Sicilie era diventato il giovane Ferdinando II il cui credo politico era incentrato dell’indipendenza quasi autarchica del regno e che, tra le opere di risanamento delle finanze del regno, finì di interferire inevitabilmente con i consolidati interessi inglesi nell’isola sicula. Per prima cosa abolì le tasse per i ceti meno abbienti, ma soprattutto assegnò un monopolio decennale sullo zolfo all’impresa francese Taix-Aycard con sede a Marsiglia, con una regolamentazione tale da garantire tra l’altro un ricavo per le casse borboniche, incentivi per la riduzione dell’estrazione e investimenti viari a carico dell’impresa.


Ovviamente l’Inghilterra non stette a guardare, anche perché la nuova legge rappresentava una rottura del trattato del 1816 <Palmerston fece pressione sull’ambasciatore napoletano a Londra, Conte Ludolf, minacciandolo con sanzioni ufficiali. In più Palmerston annunciò che in tali condizioni la comune lotta contro la pirateria albanese sarebbe cessata subito. Oltre tutto Palmerston usò come minaccia lo scioglimento di tutti i trattati commerciali bilaterali, nel caso che il trattato non fosse stato ritirato. In occasione del banchetto per la festa d’incoronamento della regina Vittoria, Palmerston offese pesantemente il rappresentante napoletano accusando lui ed il governo che rappresentava di avere un comportamento disonorevole e non sincero> [da “Il ruolo della Gran Bretagna nella caduta del Regno dell Due Sicilie” di Martin Kohler, 2004].


Alla pretesa di Ferdinando II di agire per il benessere dei suoi cittadini, Palmerston rispose con questo ammonimento: <in paesi, nei quali il governo è arbitrario e dispotico e non sottoposto a nessuna responsabilità o freno, può succedere, che il malumore, la mancanza di conoscenze politiche, il pregiudizio, l’interesse privato o una cattiva influenza possano far si, che venga emesso un decreto politicamente scorretto ed ingiusto, che danneggerà gravemente i popoli di questi stati>.


A testimoniare l’alto grado di tensione geo-politica sulle isole italiche c’era stata anche l’esemplare vicenda di un isolotto vulcanico comparso improvvisamente nel 1831 per una eruzione subacquea vicino alle allora borboniche Pantelleria e Lampedusa. L’isola venne battezzata Ferdinandea dal re borbone che considerava automaticamente sua poiché in acque territoriali borboniche, ma i primi a piantare la loro Union Jack furono militari inglesi partiti da Malta che la chiamarono invece Graham. Non mancarono nemmeno i francesi che sbarcarono anche loro sull’isola, che a loro volta battezzarono come Julie, inserendosi anche loro nella già accesa disputa diplomatica. Fortunatamente questo lembo di terra inospitale e insalubre di appena 4 km e coperto dai fumi di zolfo, si inabissò nel mare così come era comparso sottraendosi al ruolo di casus belli.


by ActualProof (appuntidiviaggio)

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