1848, la massoneria allo scontro frontale
Come prima di ogni grande sconvolgimento della storia moderna, così come ci hanno insegnato i signori dell’economia, creare una depressione economica è lo strumento migliore per indurre la gente umile a elevarsi dal loro torpore, scendere in strada a battersi per ideali (meglio se costruiti artificiosamente), scardinare il vecchio sistema, accettare nuove leggi o semplicemente fidarsi di preposti salvatori. Così avvenne anche nel 1846-1847 quando proprio la depressione fu la goccia che fece traboccare il vaso dei moti insurrezionalisti. Puntualmente nel 1847 venne programmato il congresso massonico plenario di Strasburgo per la pianificazione generale delle insurrezioni repubblicane.
Nello stesso momento era in corso un’opera di propaganda per preparare l’opinione pubblica alla futura abolizione dello stato Pontificio. Sin dagli inizi del pontificato di papa Gregorio XVI l’intera diplomazia europea era coordinata a chiedere alla Santa Sede le riforme che erano state indicate dall’Alta Vendita. Ne erano complici l’Inghilterra di Lord Palmerston, la Francia di Luigi Filippo e su loro impulso anche i ministri d’Austria, Prussia e Russia. Ma Gregorio XVI rifiutò il Memorandum di riforme “laicizzanti” e “progressiste” proposto dalle potenze europee e venne così accusato di essere sordo alle aspirazioni del suo tempo e di essere troppo intransigente ai più fecondi movimenti intellettuali. Ad onor di cronaca si potrebbe anche precisare che in realtà papa Gregorio XVI non era propriamente definibile come un retrogrado, anzi, oltre a favorire le missioni, le scienze e le arti nello stato Pontificio, fondò un museo etrusco, uno egizio e uno cristiano in Vaticano. (Nota: il primo museo modernamente inteso fu quello dei Musei Capitolini, aperto al pubblico sotto il pontificato di Clemente XII nel 1734)
Alla morte di Papa Gregorio XVI (il 1° giugno 1846), l’obiettivo delle massonerie divenne il suo successore Pio IX che nell’allocuzione concistoriale del 29 aprile del 1848 denunciò la pressione esercitata dalle potenze europee per farlo abdicare in un modo o nell’altro: "Voi non ignorate, venerabili Fratelli, come già verso la fine del regno di Pio VII, Nostro predecessore, i principi sovrani dell'Europa insinuarono alla S. Sede Apostolica il consiglio di adottare, pel governo degli affari civili, una forma di amministrazione più facile e più conforme ai desiderii dei laici. Più tardi, nel 1831, i consigli e i voti di questi sovrani furono più solennemente espressi nel celebre Memorandum che gli imperatori d'Austria e di Russia, il re di Francia, la regina della Gran Bretagna e il re di Prussia credettero di mandare a Roma per mezzo dei loro ambasciatori. In questo scritto, si trattò, fra le altre cose, della convocazione a Roma d'una Consulta di Stato, formata col concorso di tutto intero lo Stato pontificio, d'una nuova e larga organizzazione dei corpi municipali, dello stabilimento dei consigli provinciali, d'altre istituzioni egualmente favorevoli alla comune prosperità, dell'ammissione dei laici a tutte le funzioni della pubblica amministrazione e dell'ordine giudiziario. Questi due ultimi punti venivano presentati come principii vitali di governo. Altre note degli stessi ambasciatori facevano menzione d'un più largo perdono da accordarsi a tutti o a quasi tutti i sudditi pontifici che aveano tradito la fede dovuta al loro sovrano".
All’inizio del 1848 Mazzini pubblicò il suo manifesto in cui affermava che: “essendo l’Austria la più grande negatrice delle nazionalità europee, essa deve scomparire. Guerra contro l’Austria! L’iniziativa di questa rivoluzione europea mondiale, che deve portare alla nascita degli Stati Uniti d’Europa, appartiene al potere dell’Italia; pertanto è il dovere dell’Italia. “La Roma dei Popoli” deve, nella sua fede repubblicana universale, unire l’Europa e L’America, e tutte le altre parti del mondo abitato, in un potere mondiale finale onnicomprensivo” (da “Opere” di Giuseppe Mazzini, 1884).
Arrivò quindi il fatidico 1848, il momento della rivoluzione simultanea di tutte le obbedienze massoniche che sconvolsero l’Europa nella cosiddetta “Primavera dei popoli”, anche se i popoli in realtà non vi parteciparono, al contrario presero parte alla reazione che pose fine a questi moti. Questi eventi segnarono la fine della società cristiana europea, della restaurazione, del romanticismo anti-illuminista, mentre diedero il via all’era del colonialismo, dell’imperialismo europeo, degli ideali socialisti e anche della seconda rivoluzione industriale. In quest’anno si verificarono rivoluzioni indipendentiste in tutti gli stati europei a maggioranza cattolica, escluse quindi le nazioni protestanti e l’Inghilterra di Lord Palmerston che era il centro direzionale di tutte le operazioni rivoluzionarie. Dato che non c’era un consistente appoggio popolare (anzi in alcuni casi c’era un vera e propria ostilità), nè una possibilità di coordinazione spontanea e simultanea dei vari corpi reazionari sparsi per l’Europa, ancora una volta la matrice reazionaria è interamente massonica.
Già nel novembre 1847 in Svizzera le forze radicali avevano sconfitto il partito dei cantoni cattolici (Suderbund) trasformando la confederazione in uno Stato Federale. In Francia la storia sembra quasi ripetersi. Il regnante borbone restaurato Luigi Filippo (1773-1850) venne destituito dai repubblicani e dai democratici che crearono un governo provvisorio con i socialisti. Seguì una assemblea costituente, una nuova costituzione repubblicana e un presidente della repubblica: Luigi Napoleone Bonaparte (1808-1873), figlio del fratello dell’omonimo generale. Il moto francese del febbraio del 1848 riuscì a generare un voluto effetto a catena in Italia, Germania, Ungheria, Prussia, Austria e Polonia, dove si costituirono governi provvisori. In Germania invece, frammentata in confederazione di stati, i moti cominciarono un processo di unificazione. A dispetto delle premesse però i moti si esaurirono tutti in breve tempo e fallirono sanguinosamente causando decine di migliaia di vittime.
In Italia i moti partirono dalla Sicilia il 12 gennaio, con a capo i massoni La Farina, La Masa, Pito e Bagnasco, l’appoggio della flotta inglese e la complicità del comandante borbonico massone De Majo. Intanto a Napoli, mentre i carbonari facevano espellere i gesuiti, Lord Palrmeston esercitava pressioni per ottenere l’indipendenza della Sicilia fino ad ottenere da Ferdinando II (1830-1859) la concessione della Costituzione al Regno delle Due Sicilie.
Nel nord Italia invece fu il Piemonte a giocare il ruolo principale. Re Carlo Alberto di Savoia (1798-1849) era stato convinto da Massimo D’Azeglio a guidare la rivoluzione nascondendosi dietro un pretesto “morale”. La morale era ovviamente quella liberal-massonica e il risultato fu un immediato Statuto che non riconosceva la religione cattolica come religione di stato e aboliva gli ordini religiosi, così come avvenne per la rivoluzione francese. I primi a subire questa repressione furono ancora una volta i gesuiti, costretti al domicilio coatto. Stessa sorte toccò gli anni seguenti ad altre congregazioni religiose (vedi § “Le riforme laiche anticlericali della massoneria piemontese”). Dal punto di vista militare-espansionista, con l’appoggio dei vari governi provvisori italiani massonico-repubblicani, ma non dalla popolazione del nord Italia, le truppe piemontesi avanzarono nella val Padana e riuscirono a respingere quelle austriache capitanate da Radetzky fino a liberare Venezia.
Per la prima volta era comparso ufficialmente il tricolore italiano: le truppe piemontesi adottarono i colori della massoneria dell’Emilia come loro bandiera. In realtà come bandiera di stato era già comparso nel 1797 ai tempi della prima Repubblica giacobina Cispadana, mentre la sua prima citazione, antichissima, è addirittura nella Genesi biblica e da lì arrivata alla massoneria rivoluzionaria attraverso tutto l’esoterismo cristiano ed infine i rosacroce. Nell’anno precedente il massone Goffredo Mameli aveva scritto il testo dell’inno nazionale italiano (“fratelli d’Italia”) con palese riferimento massonico.
Ma le conquiste piemontesi durarono poche settimane. I massoni capirono che non potevano fidarsi di Carlo Alberto che colse l’occasione per soddisfare le proprie ambizioni espansioniste e tolsero il loro appoggio al Piemonte. Gli austriaci riconquistarono tutte le città perse, tranne Venezia, e costrinsero Carlo Alberto all’armistizio di Salasco il 9 agosto. Il ritorno trionfale delle truppe austriache di Radetzky (ricordato nella celebre marcia di Johann Strauss), a dispetto della tradizione massonica, venne accolto con manifestazioni pubbliche popolari.
Successivamente i Piemontesi ruppero l’armistizio, ma vennero sconfitti definitivamente a Novara il 23 marzo 1849 e solo l’intervento di Lord Palmerston impedì l’occupazione austriaca del Piemonte. I massoni spinsero all’abdicazione del regnante sabaudo in favore del figlio Vittorio Emanuele II e lo costrinsero a nominare Massimo d’Azeglio come presidente dei ministri. Il primo governo massonico-repubblicano della penisola era quindi compiuto.
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