Papa Paolo VI tra ecumenismo relativista massonico e occultismo (parte 1)
Prima di tentare addentrarci nella mente di Paolo VI si ricordi che dopo la sua elezione il pontefice presta il seguente giuramento <di non diminuire o cambiare niente di quanto trovai conservato dai miei probatissimi antecessor e di non ammettere qualsiasi novità, ma di conservare e di venerare con fervore, come vero loro discepolo e successore, che tutte le mie forze e con ogni impegno, ciò che fu tramandato>.
Veniamo quindi all’opera pastorale di Papa Montini, soggetta in realtà a pesanti accuse parimenti di quella prettamente temporale e secolare. L’ortodossia cattolica è stata da lui apertamente sfidata con visioni moderniste e relativiste: <Noi Ci accingiamo pertanto a fare una professione di fede, a pronunciare un Credo, che, senza essere una definizione dogmatica propriamente detta, e pur con qualche sviluppo, richiesto dalle condizioni spirituali del nostro tempo, riprende sostanzialmente il Credo di Nicea, il Credo dell’immortale Tradizione della santa Chiesa di Dio. Nel far questo, Noi siamo coscienti dell’inquietudine, che agita alcuni ambienti moderni in relazione alla fede. Essi non si sottraggono all’influsso di un mondo in profonda trasformazione, nel quale un così gran numero di certezze sono messe in contestazione o in discussione. Vediamo anche dei cattolici che si lasciano prendere da una specie di passione per i cambiamenti e le novità. Senza dubbio la Chiesa ha costantemente il dovere di proseguire nello sforzo di approfondire e presentare, in modo sempre più confacente alle generazioni che si succedono, gli imperscrutabili misteri di Dio, fecondi per tutti di frutti di salvezza. Ma al tempo stesso, pur nell’adempimento dell’indispensabile dovere di indagine, è necessario avere la massima cura di non intaccare gli insegnamenti della dottrina cristiana. Perché ciò vorrebbe dire - come purtroppo oggi spesso avviene - un generale turbamento e perplessità in molte anime fedeli>.
In questa solenne concelebrazione a conclusione dell’Anno della Fede, il 30 giugno 1968, Paolo VI disse, tra le righe di un discorso che superficialmente potrebbe apparire ultra-ortodosso, che la Fede “non” è dogmatica e che il modernismo va inevitabilmente perseguito a patto di non recare troppo turbamento nei fedeli, il che è un perfetto riassunto del pontificato di Papa Montini.
Questo modernismo è però chiaramente di matrice massonica anche perché punta inevitabilmente al testuale “Culto dell’Uomo” neo-umanista: <Non è più il caso di attirare le anime e di interessarle alle “cose supreme”>. <Non si lavora per la Chiesa, ma si lavora per l’umanità>. <Il Nostro Umanesimo diventa Cristianesimo e il Nostro Cristianesimo diventa teocentrico, tanto che possiamo ugualmente affermare: per conoscere Dio, bisogna conoscere l’uomo>. <L’uomo ci si rivela gigante. Ci si rivela divino. Ci si rivela divino non in sé, ma nel suo principio e nel suo destino. Onore all’uomo, onore alla sua dignità, al suo spirito, alla sua vita>. <Onore all’uomo; onore al pensiero! Onore alla scienza! ... Onore all’uomo, Re della Terra, ed ora anche Principe del cielo>. O ancora davanti all’Assemblea Conciliare il 7 dicembre 1965: <Per conoscere Dio, bisogna conoscere l’uomo. […] Tutte queste ricchezze dottrinali del Concilio non mirano che a una cosa: servire l’uomo. […] L’umanesimo laico e profano è apparso, infine, nella sua terribile statura, ed ha, in un certo senso, sfidato il Concilio. La religione di Dio che S’è fatto uomo si è incontrata con la religione dell’uomo che si è fatto Dio ... Noi più di chiunque altro, Noi abbiamo il “Culto dell’Uomo”!>
In questo contesto va intesa la devozione di Paolo VI per la “democrazia universale”, una forma di autogoverno di un popolo che non ha più bisogno di Dio e che vuole sostituirsi al Regno di Dio. Dal discorso del 1° gennaio 1970: <Ebbene, noi siamo in democrazia... Questo vuol dire che il popolo comanda, che il potere proviene dal numero, dal popolo, così com’è>. Questa democrazia universale non ha quindi bisogno di Vangelo, ma solo di una “Carta dei Diritti dell’uomo”. Per questo sostenne con ardore un’organizzazione massonica come l’ONU, chiaramente anti-cristiana: <Questo aspetto dell’organizzazione delle Nazioni Unite è il più bello, è il suo volto umano più autentico. È l’ideale dell’umanità pellegrina nel tempo, è la speranza migliore del mondo, è il riflesso, osiamo dire, del disegno trascendente e amoroso di Dio circa il progresso del consorzio umano sulla terra, un riflesso dove scorgiamo il messaggio evangelico da celeste farsi terrestre>.
La deposizione di Dio dal centro del Cattolicesimo per lasciare la centralità all’uomo ha avuto evidenti riflessi anche nella liturgia dove si è cominciato a parlare di Cristo in terza persona, invece che in seconda come si faceva prima, implicando una sua lontananza dal rito. Nell’oblio di questa apostasia Paolo VI disse nel dicembre 1965 che “non è più il caso di attirare le anime e di interessarle alle cose supreme”, mentre dal Concilio Vaticano II deduciamo letteralemente che “non si lavora per la Chiesa, si lavora per l’umanità.”
Ma questo neo-umanesimo non è stata l’unica rivoluzione in ambito pastorale, seppur la più deprecabile a livello teologico. L’intera concezione dogmatica della Chiesa era vista da Papa Montini come l’ostacolo maggiore al suo progressismo ed in particolare all’ecumenismo, poiché un’unica Verità rivelata e indiscutibile non avrebbe permesso l’unità sincretista (massonica e mondialista) di tutte le religioni. Per questo in definitiva il “docete” venne sostituito da una nuova parola chiave: il “dialogo”.
Paolo VI fu infatti particolarmente solerte nel propugnare l’ecumenismo di tutte le Chiese, anche quelle scismatiche, cercando ripetutamente il mutuo perdono: <O Chiese lontane e così vicine a noi!.. O Chiese oggetto del nostro sincero pensiero! O Chiese della nostra incessante nostalgia! Chiese delle nostre lacrime!> Per questo presenziò al Concilio Ecumenico delle Chiese (o Consiglio Mondiale delle Chiese) del 10 giugno 1969 che vide la partecipazione di 234 comunità religiose e dove il pontefice auspicò: <la fraternità cristiana... tra le Chiese che fanno parte del Consiglio Ecumenico e la Chiesa cattolica. […] La Chiesa cattolica deve diventare membro del Consiglio Ecumenico>, candidatura che segnò una svolta storica per il Cattolicesimo.
Tra l’altro questo Consiglio mondiali sta è stato coinvolto anche nei finanziamenti a gruppi di terroristi nelle “guerre di liberazione” in America Latina e Africa. L’ecumenismo di Paolo VI era totale e lo portò a fraternizzare con protestanti, anglicani, pentacostali, rabbini e tutte le correnti cristiane, ma anche con eretici, scismatici, dissidenti, mondani, atei, massoni e anarchici, fino a considerare le vittime mussulmane o protestanti del regime ugandese come martiri in “spirito ecumenico”, oppure ad accettare idoli da induisti e buddisti. Ebbe una particolare predilezione per i “fratelli maggiori giudei”; forse solo per il fatto che sua madre era ebrea, ma per i suoi più forti detrattori per il suo legame con il B’nai B’rith. Al contrario, gli unici con cui manifestò una viscerale ostilità, furono gli ortodossi, come quando si rifiutò di ricevere 4000 cattolici tradizionalisti provenienti da tutto il mondo, a cui preferì un gruppo di Rabbini Talmudici e il Patriarca dei Bonzi. Il 19 maggio 1964 istituì il “Segretariato per i non cristiani”, mentre il 9 aprile 1965 il “Segretariato per i non credenti”.
<Il 29 gennaio 1965, Paolo VI rese ai Turchi lo stendardo di Lepanto, quel trofeo insigne che era stato conservato, da oltre 400 anni, a Santa Maria Maggiore, come ex voto alla Vergine tutelare, protettrice della Cristianità, salvando l’Occidente dall’invasione musulmana. San Pio V istituì la festa di “Nostra Signora del Santo Rosario”, per perpetuare il ricordo di quel miracolo compiuto dalla Madre di Dio. Ma Paolo VI accompagnò quella resa con un “Breve” alle Autorità turche, così significando, con quel suo gesto infame, che “le guerre di religione erano finite per sempre”. Ma quel gesto significò che Paolo VI non condannava più i persecutori. Era anche un aspetto della sua diplomazia, rivolta a Mosca e a Pechino in approvazione ai guerriglieri e ai terroristi d’ogni paese del mondo> [dalla lettera ai cardinali “Beatificazione di Paolo VI?” di padre Luigi Villa]. Di fatto il 1° luglio 1970 Paolo Vi ricevette in Vaticano i capi del terrorismo in Angola, Mozambico, Guinea-Bissau e Capo verde, a cui regalò la sua enciclica “Populorum Progressio”.
Una volta eletto Paolo VI si adoperò subito per la rinascita della “Nuova Teologia”, ispirata ai gesuiti Lyonnet e Zerwhick, già condannati dal Sant’Uffizio. Vennero chiamati nella Commissione Biblica sei nuovi progressisti, tra cui i cardinali Alfrink e Köenig, che pubblicarono una “Istruzione” contro la difesa della storicità dei Vangeli che era sostenuta dal “Monitum” del Sant’Uffizio. Nel 1965 Paolo VI abolì definitivamente lo stesso Santo Uffizio e lo sostituì con la Congregazione per la Dottrina della Fede. Vennero scartate anche la “Scolastica Tomistica” e la “Tradizione” della “Legge Naturale”, sostituendoli con i metodi teologici di pensiero scientifico, come la Fenomenologia e l’Esistenzialismo. Non venne posto invece alcun ostacolo alla diffusione delle ideologie scismatiche olandesi, anzi, venne concessa la diffusione e la traduzione in più lingue dei loro testi. Venne ovviamente abolito anche il giuramento anti-modernista pubblicato da Pio X nel 1907 con le sue encicliche “Lamentabili Sane” e “Pascendi Dominici Gregis” e allo stesso tempo impose il divieto di parlare di scomunica, come la “Latae sententiae” dello stesso Pio X. Allo stesso modo venne soppresso l’indice che proibiva la lettura di libri dannosi alla Fede. Paolo VI non mancò di rendere pubblico omaggio a Lutero, come per esempio con l’invio del cardinale Willebrandt all’Assemblea luterana di Evian per elogiare il fondatore del protestantesimo.
Paolo VI ha distrutto il “trionfalismo” nella Chiesa, creando lo slogan: “La Chiesa dei poveri”. Ci fu anche una rivoluzione patrimoniale con la svendita del tesoro del patrimonio ecclesiastico, che però non toccò i conti personali dei vescovi. Allo stesso tempo Paolo VI fece invece rinnovare i suoi appartamenti nel Palazzo Pontificio aggiungendo pure dei nuovi giardini pensili sul tetto.
Paolo VI si adoperò poi per la sostituzione della Messa in Rito Romano, tramandata tradizionalmente da quasi duemila anni, con un protestantizzato “Novus Ordo Missae” che aveva implicazioni su svariati aspetti della vita liturgica, come i Sacramenti, le Benedizioni, i Riti Pontifici, le Litanie e la Musica sacra. In opposizione alla “Humani Generis” di Pio XII, ha fatto girare gli altari verso il popolo, per far si che i sacerdoti celebrassero con le spalle rivolte a Dio e mettere al centro l’umanità dei fedeli, come avviene nel protestantesimo. Ha soppresso ancora l’astinenza dalle carni. Con l’Istruzione “Memoriale Domini” autorizzò le Conferenze Episcopali a concedere la distribuzione della Comunione anche sulla mano e con la “Fidei custos” ha aperto la strada ai Ministri laici che potessero concelebrare il nuovo rito di Comunione distribuendo le ostie, senza alcuna restrizione. Sono state permesse le concelebrazioni con pastori anglicani.
Secondo padre Luigi Villa: <La “Messa” di Paolo VI è la distruzione intenzionale del concetto e del valore intrinseco del “Sacrificio Eucaristico”, della “Presenza Reale” e della “sacramentalità” del Sacerdozio ministeriale, vale a dire: la distruzione di ogni valore dogmatico essenziale della Santa Messa. La Messa ecumenica di Paolo VI “desacralizza” la Santa Comunione, presa in piedi, in mano, e distribuita da laici: attacca il “Sacrificio Propiziatorio” del “popolo di Dio” con quello del Sacerdote (divenuto solo “Presidente”) col rito in cui la “riforma” fu ispirata da un massonico ecumenismo sincretista. La Messa di Paolo VI fu aspramente criticata dai due cardinali Ottaviani e Bacci, perché “si allontanava, in modo impressionante nell’insieme e nei dettagli, dalla Teologia cattolica della Santa Messa”. Paolo VI fu costretto a cambiare la Sua definizione eretica, ma, nella “nuova definizione” che fece, vi aggiunse solo un debole accenno al “Santo Sacrificio”, senza cambiare alcunché in tutto il resto del testo liturgico. Con la Sua “Nuova Messa”, Paolo VI ha imposto gli “errori”, già condannati dal Concilio di Trento e di Pio VI, che condannò i medesimi errori del “Sinodo di Pistoia” contro i Giansenisti. Paolo VI, dopo aver soppresso gli “Ordini Minori” ed il “Suddiaconato”, fece in modo che, a poco a poco, i “laici” prendessero il posto dei Sacerdoti, proprio come fece Lutero e come fanno i protestanti>.
In definitiva Paolo VI cercò in tutti i modi di cancellare la dimensione soprannaturale e trascendente della Chiesa, sostituendola con un semplice ritualismo religioso. La negazione della dimensione spirituale ecclesiale si può ben rappresentare dal fatto che Paolo Vi riuscì nell’intento di pontificare per 15 anni senza essere quasi mai visto pregare pubblicamente e si adoperò esplicitamente per far sparire tutte le forme di devozione e di pubblica preghiera.
Anche la vita religiosa venne scossa nelle sua fondamenta. Paolo VI ha cercato più volte di sopprimere la vita di clausura ed ha comunque eliminato tutti gli Ordini Minori: la Tonsura, l’Ostiariato, l’Esorcistato, il Suddiaconato. Non ha però mai usato gli atti canonici propri del pontefice per ammonire comportamenti irregolari in ambito rituale, comportamentale, di fede, o di costume, ma li accettò tutti indistintamente nella sua nuova Chiesa moderna progressista. Per assurdo gli unici ad essere puniti da lui furono i martiri che avevano subito la tortura comunista.
Il matrimonio dei preti era ben visto ai suoi occhi, anzi per questo colpevolizzò la Chiesa, come sottolineato nella sua Enciclica “Sacerdotalis Coelibatus” del 24 maggio 1967: <la vera responsabilità non agli spretati, ma alla Chiesa prima di Lui, alle sue erronee valutazioni e alla vita che faceva fare ai suoi preti>. Al suo collaboratore alla Segreteria di Stato, padre Alighiero Tondi, concesse il “matrimonio civile”, una volta lasciato il sacerdozio. Successivamente, il 2 febbraio 1964, Paolo VI sancì che da quel momento era ammesso l’annullamento dei voti concedendo indistintamente a tutti la dispensa “pro-gratia” e sarebbe stato concesso il matrimonio in chiesa anche a questi sacerdoti che avrebbero rinnegato il sacramento del ministero apostolico. Questa fu forse la decisione che influenzò più di tutte l’ecclesia, dato che per esempio in un solo anno, nel 1977, vennero concesse 4000 rinunce a fronte di 2800 ordinazioni sacerdotali. Paolo VI, col Motu Proprio “Sacrum diaconatus ordinem”, stabilì inoltre che “possono essere chiamati al diaconato uomini di età matura, sia celibi che congiunti in matrimonio”. Fu un gesto papale che preludeva l’Ordinazione Sacerdotali anche per gli sposati. I nuovi sacerdoti invece assunsero forti tendenze lassiste ed ecumeniche, privi del senso del male e in genere essi stessi non credenti nell’esistenza di Satana, in una parola “laicizzati” pure loro, a volte pure sindacalisti di sinistra.
Il matrimonio cambiò anche per i civili con l’emessione del Motu Proprio “Matrimonia mixta”, con cui Paolo VI tolse al coniuge non cattolico la solenne promessa di lasciare battezzare ed educare i figli nella Chiesa cattolica. Fu una normativa che passò, poi, nel “Codice di Diritto Canonico” del 1983 (can. 1125).
La Curia Romana fu oggetto di forte disprezzo da parte di Mons. Montini prima ancora della sua elezione al soglio pontificio. Per rinnovare il più velocemente possibile le alte sfere vaticane, Paolo VI pose un limite di 75 anni per l’esercizio vescovile, oltre il quale dovevano scattare automaticamente le dimissioni, mentre i cardinali potevano essere grandi elettori papali solo fino agli 80 anni. Stessa sorte toccò alla Congregazione per la Dottrina della Fede, dove sostituì i Prelati a suo piacimento e stessa cosa fece con le nomine delle sedi vacanti di tutto il mondo, dove nominò solo vescovi liberali o progressisti.
Per quanto riguarda i culti mariani, Paolo VI non ha mai avuto una sensibilità mariana, sempre come i protestanti, e ha sempre disertato la tradizionale festività di incoronazione di Maria, il pellegrinaggio a Loreto, non ha mai partecipato pubblicamente alla recita del Rosario e ha invece espresso disappunto verso coloro che “esaltano Maria in modo talvolta eccessivo, oltrepassando i limiti delle giuste proporzioni dottrinali o culturali”. A Milano, disse: <La proposta di un nuovo titolo, vale a dire quello di “Mediatrice”, da attribuire a Maria SS., mi sembra “inopportuno” e persino “dannoso” […] L’estensione di questo titolo non sembra favorire la vera pietà>.
L’unica volta che Paolo VI presenziò ad una festività mariana fu il 13 maggio 1967, quando si recò per la prima ed unica volta a Fatima, in occasione del cinquantesimo anniversario delle Apparizioni Mariane. Ma anche in questo caso mancò l’occasione per dare una dimensione più spirituale al suo operato terreno. Secondo il già citato Don Luigi Villa, uno dei più autorevoli detrattori di Paolo VI: <vi andò non per vedere, ma per farsi vedere; non per ascoltare il messaggio della Madonna, ma per parlare Lui; non per inginocchiarsi, ma per troneggiare davanti a una sterminata folla in preghiera; non per ricevere ordini celesti, ma per imporre i Suoi progetti terreni; non per implorare la “pace” dalla Vergine Santa, ma per chiederla agli uomini, e per imporre, proprio lì, nel dominio di Maria SS., i “piani” del Mondo massonico di Manhattan; in una parola, per restare fedele ai Suoi tradimenti! Lo si vide fin dall’inizio. Con un pretesto puerile e poco educato, umiliò il Presidente del Portogallo, Salazar (uno dei più prestigiosi Capi politici di questo secolo! uno dei maggiori autori della civiltà cristiana!); prima, col non fermarsi ad incontrarLo, in sede; poi, col riceverLo come un qualunque cittadino portoghese, senza seguito, senza fotografi, senza alcun apparato, quale avrebbe, invece, esigito la Sua dignità! Così, umiliando il Capo di Stato, Paolo VI umiliò anche il Portogallo – il Paese più fedele alla Fede cattolica! – non dando alcun peso né alla Nazione né al suo Capo! Perfino la stampa progressista sottolineò quel gesto di disprezzo, ostentato, che Paolo VI ebbe per quel popolo ancora profondamente cattolico! Poi, celebrò, in lingua portoghese, una Messa affrettata e fredda, impossibile da seguire, tanto che perfino Laurentin la definì “balbuziente”! Nei suoi discorsi, poi, si è notato che non contenevano che brevi allusioni alle Apparizioni del 1917 e, anche quelle, del tutto fredde e superficiali! Preoccupato delle Sue chimere politiche ed ecumeniche, Paolo VI aveva fatto organizzare una serie di “udienze” che dovevano occupare tutto il suo tempo; specialmente un “incontro ecumenico” coi “rappresentanti delle comunità non cattoliche”. Ma il Signore Lo umiliò! Di tutti gli invitati, ne vennero solo due, presbiteriani, con i quali, poi, non comprendendo essi il discorso in francese di Paolo VI, dovettero scambiare con Lui solo poche parole, inutili.., mentre vi erano tanti buoni cattolici che avrebbero volentieri pregato e anche parlato con Lui! Di più: non avendo alcun desiderio di recarsi sul luogo delle Apparizioni, a Cova da Iria, benché vicinissima, diede a tutti l’impressione che Lui non ci credeva. Ma già da quando era arrivato a Fatima, non aveva trovato il tempo di salutare, per prima, Nostra Signora di Fatima, perché montò subito sul podio, salutando la folla. Era passato davanti alla Madonna senza neppure alzare gli occhi verso di Lei, come, poi, non recitò il Rosario con la folla. Anche la TV fece vedere e i giornali raccontarono che Paolo VI non aveva nemmeno recitato una “Ave, Maria”! Infine: l’ultima delle veggenti, Suor Lucia, Gli chiese, piangendo, qualche istante di colloquio, da sola a solo; ma Paolo VI Le rifiutò anche questo! Il Suo interprete, P. Alùeyda, in una intervista concessa alla Radio Vaticana racconterà: «Lucia ha espresso il desiderio di dire al Papa qualcosa per Lui solo, ma il Papa ha risposto: “Vedete, non è il momento! D’altronde, se avete qualcosa da comunicarmi, ditelo al vostro Vescovo e lui me lo comunicherà. Abbiate in lui piena fiducia ed obbedite in tutto al vostro Vescovo!” […] A questo punto, non posso non ricordare che, sei giorni prima, il 7 maggio, Paolo VI aveva trovato il tempo di incontrarsi con Claudia Cardinale e con Lollobrigida, in San Pietro, e per tutt’altro interesse!.. e che dieci giorni più tardi, il 17 maggio, Paolo VI aveva ascoltato, con grande attenzione, le due Presidenti israelite dell’Organizzazione occulta del “Tempio della Comprensione”! […] Ma allora, perché Paolo VI è andato a Fatima?.. Forse per sostituire il Suo Messaggio a quello della “Regina della Pace”?.. Quel Messaggio che Egli manifestò all’ONU, col domandare la “Pace” non al Cielo, ma al cuore degli uomini, ai quali Paolo VI la affidava?.. Proprio così! Infatti, presentandosi alla finestra del suo appartamento in Vaticano, la sera stessa del suo ritorno da Fatima, Egli disse: «A Fatima, abbiamo interrogato la Madonna sulle strade che conducono alla pace, e ci è stato risposto (?!) che la pace è realizzabile»! Bella faccia tosta! Come dire che la Madonna l’abbia incoraggiato a continuare nel suo “Grande Disegno” di condurre tutti gli uomini a costruire la pace non con la “Preghiera” e la “Penitenza”, ma con la dottrina della sua “Populorum Progressio”!> Dai suoi gesti non trasparì infatti alcuna devozione per la Madonna di Fatima, anche il gesto di gettare un rosario ai piedi della statua dopo non essere riuscito a porlo sulle mani è stato visto come un segno di disprezzo. Per quanto riguarda Salazar, di certo Paolo VI aveva avversione per lui (come per tutti gli stati a devozione cattolica), visto da lui come un “dittatore colonialista”, cosa che per altro contrasta con la riverenza mostrata invece a Milton Obote, sanguinario leader ugandese.
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