top of page

La Divina Commedia esoterica (parte 3)

Per quanto riguarda la questione “cronologica” della Divina Commedia si deve porre attenzione principalmente al fatto che il viaggio allegorico di Dante tra i mondi si compie nel periodo simbolico della “settimana santa” cristiana, che comincia con la citata Domenica delle Palme per concludersi la Pasqua, cioè la resurrezione di Cristo. Dal punto di vista esoterico si associa un po’ forzatamente questo periodo all’equinozio di primavera, che ha in realtà data fissa relativa al ciclo solare, mentre la data della Pasqua cristiana varia invece secondo i cicli lunari. L’equinozio di primavera è sia per l’esoterismo che per l’occultismo una data cardine per rituali e iniziazioni. Ma l’aspetto forse più sorprendente è nel presunto calcolo dantesco degli anni astronomici, secondo il quale l’anno 1.300 è considerato l’esatto punto medio della vita del mondo come concepito in varie tradizioni antiche, cioè 13.000 anni, di cui l’ultimo decimo esatto corrisponde all’era cristiana. Quindi 6500 anni erano trascorsi secondo Dante dalla nascita di Adamo e altri 6500 sarebbero dovuti passare prima del conclusivo Giudizio Universale. Il numero complessivo degli anni del ciclo terrestre è non casualmente un’ottima approssimazione del semiperiodo del ciclo di precessione equinoziale, stimato oggi in 25.920 anni. Il semiperiodo, seppur approssimato più o meno accuratamente, è noto sorprendentemente già dagli antichi indù, maya, persiani, greci e romani come il “grande anno”, cioè il semi-periodo in cui la volta celeste ritorna all’aspetto iniziale, la misura adottata per un ciclo terrestre e quindi implicitamente il tempo che intercorre tra due rinnovamenti del mondo. Questa associazione con il ciclo processionale per alcuni è stato motivo di ipotesi secondo cui Dante avrebbe potuto conoscere addirittura la forma conica associata al movimento processionale dell’asse terrestre e da questa desumere la forma dell’inferno (ciò però non giustificherebbe per esempio quella del Purgatorio).


Il fatto che Dante ponga proprio il 1300 come punto medio di tale macro-periodo è per Benini una forma di egocentrismo: <rapito in un pensiero straordinariamente egocentrico, Dante situò la sua visione nel mezzo della vita del mondo il movimento dei cieli era durato 65 secoli fino a lui, e doveva durarne 65 dopo di lui e, con un abile gioco, vi fece confluire gli anniversari esatti, in tre specie d’anni astronomici, dei più grandi avvenimenti della storia, e, in una quarta specie, l’anniversario del più grande avvenimento della sua vita personale>. Secondo Guénon invece, per la natura stessa della ciclicità astronomica, ogni momento storico può essere considerato indistintamente l’inizio, la fine, il punto medio o qualsiasi altro punto rilevante del ciclo, l’arbitrarietà di Dante quindi non è da imputare ad egocentrismo perché in qualche modo corrispondente comunque a verità. Ma soprattutto deve essere visto nel suo valore simbolico, perché se Dante si pone a metà di un semiciclo vuol dire che suddivide il cerchio in quattro parti ottenendo un simbolo di grande valore esoterico, equivalente per esempio quello alchemico del regno minerale, o al “globo del mondo” o ancora all’emblema del potere imperiale o più anticamente al simbolo dell’azione creatrice divina. Simbolismo significativo a maggior ragione se traslato dall’ambito cronologico a quello geografico, cosa usuale per gli antichi, per il fatto che Dante si pone al “polo spirituale”, che corrisponde quindi a Gerusalemme, che però è anche all’apice degli inferi e il luogo associato al Cristo Doloroso, mentre al polo opposto, rivolto alla croce del sud, pone il monte del purgatorio e l’accesso ai Cieli, associato al Cristo Glorioso. Il viaggio dantesco quindi si sviluppa lungo l’asse spirituale del mondo. <L’essere deve in primo luogo identificare il centro della sua propria individualità (rappresentato dal cuore nel simbolismo tradizionale) col centro cosmico dello stato d’esistenza cui questa individualità appartiene, e che egli prenderà come base per elevarsi agli stati superiori. È in questo centro che risiede l’equilibrio perfetto, immagine dell’immutabilità principiale nel mondo manifestato; è ivi che si proietta l’asse collegante fra loro tutti gli stati, il «raggio divino» che, nel suo senso ascendente, conduce direttamente a questi stati superiori che bisogna raggiungere. Ogni punto possiede virtualmente queste possibilità, ed è, se si può dire, il centro in potenza; ma è necessario che esso lo divenga effettivamente, con una identificazione reale, per rendere attualmente possibile il dispie-gamento totale dell’essere. Ecco perché Dante, per potersi elevare ai Cieli, doveva porsi in primo luogo in un punto che fosse veramente il centro del mondo terrestre; e questo punto lo è ugualmente secondo il tempo e secondo lo spazio, vale a dire in rapporto alle due condizioni che caratterizzano essenzialmente l’esistenza in questo mondo. Se ora riprendiamo la rappresentazione geometrica di cui ci siamo precedentemente serviti, vediamo ancora che il raggio verticale, andante dalla superficie della terra al suo centro, corrisponde alla prima parte del viaggio di Dante, vale a dire alla traversata degli Inferni. Il centro della terra è il punto più basso, poiché là tendono da ogni parte le forze della pesantezza; appena è superato, l’ascesa dunque comincia, e si effettua nella direzione opposta, per giungere agli antipodi del punto di partenza. Per rappresentare questa seconda fase, occorre dunque prolungare il raggio oltre il centro, in modo da completare il diametro verticale; si ha allora la figura del cerchio diviso da una croce, vale a dire il segno che è il simbolo ermetico del regno vegetale. Ora, se si considera in un modo generale la natura degli elementi simbolici che rappresentano una parte preponderante nelle due prime parti del poema, si può constatare in effetti che si riferiscono rispettivamente ai due regni minerale e vegetale; non insisteremo sulla relazione evidente che unisce il primo alle regioni interiori della terra, e ricorderemo solamente gli «alberi mistici» del Purgatorio e del Paradiso terrestre. Ci si potrebbe attendere di vedere la corrispondenza continuare fra la terza parte e il regno animale [Il simbolo ermetico del regno animale è il segno che comporta il diametro verticale intero e soltanto la metà del diametro orizzontale; questo simbolo è in qualche modo inverso di quello del regno minerale; infatti ciò che è orizzontale nell’uno diventa verticale nell’altro e reciprocamente; e il simbolo del regno vegetale, dove vi è una specie di simmetria o di equivalenza fra le due direzioni orizzontale e verticale, rappresenta appunto uno stadio intermediario fra gli altri due]; ma, in vero, non è così, poiché i limiti del mondo terrestre sono qui superati, sicché non è più possibile applicare il seguito dello stesso simbolismo. È alla fine della seconda parte, vale a dire ancora nel Paradiso terrestre, che troviamo la più grande abbondanza di simboli animali; bisogna aver percorso i tre regni, rappresentanti le diverse modalità dell’esistenza nel nostro mondo, prima di passare ad altri stati, le cui condizioni sono del tutto diverse [Faremo notare che i tre gradi della Massoneria simbolica hanno, in certi riti, delle parole di passo rappresentanti anche rispettivamente i tre regni minerale, vegetale e animale; altresì, la prima di queste parole si interpreta talvolta in un senso che è in uno stretto rapporto col simbolismo del «globo del mondo»]. Dobbiamo considerare ancora i due punti opposti, situati alle estremità dell’asse traversante la terra, e che sono, come abbiamo detto, Gerusalemme e il Paradiso terrestre. Si tratta, in qualche modo, delle proiezioni verticali dei due punti segnanti il principio e la fine del ciclo cronologico, e che avevamo, come tali, fatto corrispondere alle estremità del diametro orizzontale nella figurazione precedente. Se queste estremità rappresentano la loro opposizione secondo il tempo, e se quelle del diametro verticale rappresentano la loro opposizione secondo lo spazio, si ha così una espressione della parte complementare dei due principii, la cui azione, nel nostro mondo, si traduce con l’esistenza delle due condizioni di tempo e di spazio. La proiezione verticale potrebbe essere considerata come una proiezione nello «intemporale», se è permesso esprimersi così, poiché si effettua secondo l’asse da cui ogni cosa è considerata in modo permanente e non più transitorio; il passaggio del modo permanente e non più transitorio; il passaggio dal diametro orizzontale al diametro verticale rappresenta dunque veramente una trasmutazione della successione in si-multaneità. Ma, si dirà, quale rapporto vi è tra i due punti di cui si tratta e le estremità del ciclo cronologico? Per l’uno di essi, il Paradiso terrestre, questo rapporto è evidente, ed è ben là ciò che corrisponde al principio del Cielo; ma, per l’altro, bisogna notare che la Gerusalemme terrestre è presa come la prefigurazione della Gerusalemme celeste che descrive l’Apocalisse; simbolicamente, d’altronde, è anche a Gerusalemme che si pone il luogo della resurrezione e del giudizio che terminano il ciclo. La situazione dei due punti agli antipodi l’uno dell’altro prende ancora un nuovo significato se si osserva che la Gerusalemme celeste non è altro che la ricostituzione stessa del Paradiso terrestre, secondo una analogia applicantesi in senso inverso. […] Per quale ragione il Paradiso terrestre è descritto come un giardino e con un simbolismo vegetale, mentre la Gerusalemme celeste è descritta come una città e con un simbolismo minerale? È che la vegetazione rappresenta l’elaborazione dei germi nella sfera dell’assimilazione vitale, mentre i minerali rappresentano i risultati definitivamente fissati, per così dire «cristallizzati», al termine dello sviluppo ciclico. […] Il centro della terra rappresenta dunque il punto estremo della manifestazione nello stato d’esistenza considerato; è un vero punto d’arresto, a partire dal quale si produce un cambiamento di direzione; la preponderanza passa infatti dall’una all’altra delle due tendenze avverse. È per tale ragione che, appena è stato raggiunto il fondo degli Inferni, l’ascesa o il ritorno verso il principio comincia, succedendo immediatamente alla discesa; e il passaggio dall’uno all’altro emisfero si compie girando intorno al corpo di Lucifero in un modo che dà a pensare che la considerazione di questo punto centrale non sia poi priva di rapporti con i misteri massonici della «Camera di Mezzo», dove si tratta ugualmente di morte e di resurrezione. Dovunque e sempre, ritroviamo similmente la espressione simbolica delle due fasi complementari che, nell’iniziazione o nella «Grande Opera» ermetica (il che è in fondo una sola e stessa cosa), traducono queste medesime leggi cicliche, universalmente applicabili, e sulle quali, per noi, riposa tutta la costruzione del poema di Dante> [da “L’esoterismo di Dante” di René Guénon].


Nei riferimenti astronomici della Divina Commedia ci sono diverse affermazioni dal sapore autenticamente esoterico di cui una delle più famose è la misteriosa citazione della cosiddetta “costellazione della Croce del sud” non visibile dall’emisfero nord: <i' mi volsi a man destra, e puosi mente a l'altro polo, e vidi quattro stelle non viste mai fuor ch'a la prima gente> (Purgatorio I 22-24). In questo caso la prima gente non può essere intesa come Adamo ed Eva o in generale i primi uomini, ma si deve far riferimento ai figli di Jafet della tradizione essenica, coloro che riconobbero in quella costellazione il simbolo della Vita e dell’Amore. Secondo la stessa chiave di lettura anche la precedente citazione della costellazione dei Pesci, <lo bel pianeto che d'amar conforta faceva tutto rider l'orïente, velando i Pesci ch'erano in sua scorta> (Purgatorio I 19-21), indica esotericamente il rinnovamento del cosmo e l’aspirazione all’uomo alla rigenerazione, per altro non a caso anche uno dei più antichi simboli dei proto-cristiani in quanto i primi discepoli erano appunto pescatori, ancora una volta con sorprendente continuità del simbolismo dalle tradizioni più antiche.


C’è inoltre un complicato aspetto, su cui concordano Benini e Guenon, che riguarda la concreta possibilità di una modifica strutturale o di parti della Divina Commedia compiuta dello stesso Dante dopo la stesura originaria. Ciò è suggerito sia dal fatto che la struttura dei canti non è omogenea, sia dal fatto che diversi eclatanti avvenimenti storici sono accaduti proprio negli anni in cui Dante portava a compimento la sua opera: 1307, fine ufficiale dell’Ordine dei Templari ad opera del re di Francia Filippo IV “il Bello”; 1308, Enrico VII di Lussemburgo diventa imperatore; 1313, misteriosa morte per avvelenamento di Enrico VII; 1314, supplizio dei templari, ma anche morte proprio di coloro che li hanno condannati, cioè Filippo il Bello e papa Clemente V. Così infatti Dante descrive la sua ira contro Filippo il Bello nel XX canto del Purgatorio, forse solo perché l’Inferno era probabilmente già concluso nel 1314: <Veggio il nuovo Pilato sì crudele, Che ciò nol sazia, ma, senza decreto, Porta nel Tempio le cupide vele. O Signor mio, quando sarò io lieto A veder la vendetta, che, nascosta, Fa dolce l’ira tua nel tuo segreto?>


In definitiva è impossibile riassumere brevemente tutta la corposa disputa intellettuale che si è generata per dare una univoca chiave di lettura esoterica alla Divina Commedia. Giusto per renderne un’idea si ripropone un ideale ed esemplificativo confronto in merito tra due dei più illustri esoteristi dell’era moderna. Eliphas Levi è forse quello che ha estremizzato più e prima di tutti la reinterpretazione della Divina Commedia in ottica non solo esoterica, ma esplicitamente occulta: <Si sono moltiplicati i commenti e gli studi sull’opera di Dante, e nessuno, a nostra conoscenza, ne ha segnalato il vero carattere. L’opera del grande Ghibellino è una dichiarazione di guerra al Papato con la rivelazione ardita dei misteri. L’epopea di Dante è gioannita e gnostica; è un’applicazione ardita delle figure e dei numeri della Kabbala ai dogmi cristiani e una negazione segreta di tutto ciò che vi è di assoluto in questi dogmi. Il suo viaggio attraverso i mondi soprannaturali si compie come l’iniziazione ai misteri d’Eleusi e di Tebe. È Virgilio che lo conduce e lo protegge nei cerchi del nuovo Tartaro, come se Virgilio, il tenero e malinconico profeta dei destini del figlio di Pollione, fosse agli occhi del poeta fiorentino il padre illegittimo, ma vero, dell’epopea cristiana. Grazie al genio pagano di Virgilio, Dante sfugge a quella voragine sulla cui porta aveva letto una sentenza di disperazione; vi sfugge mettendo la testa al posto dei piedi ed i piedi al posto della testa, vale a dire prendendo il rovescio del dogma, ed allora risale alla luce servendosi dello stesso demonio come di una scala mostruosa; sfugge allo spavento a forza di spavento, all’orribile a forza d’orribile. L’Inferno, sembra, non è un vicolo cieco che per coloro i quali non sanno cavarsela; egli prende il diavolo a contrappelo, se mi è permesso usare qui questa espressione familiare, e si emancipa con la sua audacia. È già il protestantesimo superato, ed il poeta dei nemici di Roma ha già divinato Fausto montante al Cielo sulla testa di Mefistofele vinto> [da “Dogme et Rituel de la Haute Magie” di Eliphas Levi].


Contrario a questa specifica interpretazione René Guenon: <In realtà, la volontà di «rivelare i misteri», supponendo la cosa possibile (e non lo è, poiché di vero mistero non vi è che l’inesprimibile), e il partito preso di «prendere il rovescio del dogma», o di capovolgere coscientemente il senso e il valore dei simboli, non sarebbero i segni di una altissima iniziazione. Fortunatamente, non vediamo, da parte nostra, nulla di simile in Dante, il cui esoterismo si avvolge invece di un velo assai difficilmente penetrabile, appoggiandosi nello stesso tempo su basi strettamente tradizionali; fare di lui un precursore del protestantesimo, e forse anche della Rivoluzione, per il semplice fatto che fu un avversario del Papato sul terreno politico, è misconoscere interamente il suo pensiero e non capir nulla dello spirito della sua epoca. Vi è dell’altro ancora che ci sembra difficilmente sostenibile: è l’opinione consistente a vedere in Dante un «kabbalista» nel senso proprio del termine; e qui siamo tanto più portati a diffidare in quanto sappiamo troppo bene come facilmente s’illudano a tal proposito alcuni nostri contemporanei, credendo trovare qualche cosa della Kabbala dovunque vi è una qualsiasi forma di esoterismo. Non abbiamo forse visto uno scrittore massonico affermare gravemente che Kabbala e Cavalleria sono una sola e medesima cosa, e, a dispetto delle più elementari nozioni linguistiche, che i due termini stessi hanno una origine comune? In presenza di tali inverosimiglianze, si comprenderà la necessità di mostrarsi circospetti, e di non con-tentarsi di qualche vago avvicinamento per fare di tale o di tal’altro personaggio un kabbalista; ora la Kabbala è essenzialmente la tradizione ebraica, e noi non abbiamo alcuna prova che una influenza ebraica si sia esercitata direttamente su Dante. Ciò che ha dato nascita ad una tale opinione, è unicamente l’uso che egli fa della scienza dei numeri; ma, se questa scienza esiste effettivamente nella Kabbala ebraica e vi occupa un posto dei più importanti, essa si ritrova anche altrove; si arriverà dunque fino a pretendere ugualmente, sotto lo stesso pretesto, che Pitagora era un kabbalista [Questa opinione è stata effettivamente emessa da Reuchlin]? Come già abbiamo detto, è più al Pitagorismo che alla Kabbala, che, sotto questo rapporto, si potrebbe collegare Dante, il quale, molto probabilmente, conobbe soprattutto del Giudaismo ciò che ne ha conservato il Cristianesimo nella sua propria dottrina>.


Ancora Eliphas Levi: <notiamo anche che l’Inferno di Dante non è che un Purgatorio negativo. Spieghiamoci: il suo Purgatorio sembra essersi formato nel suo Inferno come in uno stampo; e il coperchio è come il tappo della voragine, e si comprende che il Titano fiorentino, scalando il Paradiso, vorrebbe gettare con un calcio il Purgatorio nell’Inferno>. A cui risponde Guénon: <Ciò è vero in un senso, poiché il monte del Purgatorio si è formato, sull’emisfero australe, con i materiali gettati dal seno della terra quando la voragine fu scavata per la caduta di Lucifero; ma tuttavia l’Inferno ha nove cerchi, che sono come un riflesso invertito dei nove cieli, mentre il Purgatorio non ha che sette divisioni; la simmetria non è dunque esatta sotto tutti i rapporti>. Levi: <Il Suo Cielo si compone di una serie di circoli kabbalistici divisi da una croce come il pantacolo d’Ezechiele; al centro di questa croce fiorisce una rosa, e noi vediamo apparire per la prima volta, esposto pubblicamente e quasi categoricamente spiegato, il simbolo dei Rosa Croce. (...) Il Roman de la Rose e la Divina Commedia siano le due forme opposte (sarebbe più giusto dire complementari) di una stessa opera: l’iniziazione all’indipendenza dello spirito, la satira di tutte le istituzioni contemporanee e la formula allegorica dei grandi segreti della Società dei Rosa Croce>. Guénon: <la Società dei Rosa Croce, a vero dire, non portava ancora questo nome, e in più, lo ripetiamo, non fu mai (salvo in qualche ramo tardivo e più o meno deviato) una «società» costituita con tutte le forme esteriori che implica questo termine. D’altra parte, l’«indipendenza dello spirito», o per meglio dire, l’indipendenza intellettuale non era, al medio evo, una cosa tanto eccezionale come i moderni credono d’ordinario, ed i monaci stessi non si privavano di una critica molto libera, di cui si possono ritrovare le manifestazioni fin nelle sculture delle cattedrali; tutto ciò non ha nulla di propriamente esoterico, e vi è, nelle opere di cui si tratta, qualche cosa di molto più profondo>. Levi: <Queste importanti manifestazioni dell’occultismo coincidono con l’epoca della caduta dei Templari, poiché Giovanni di Meung o Clopinel, contemporaneo della vecchiaia di Dante, fioriva durante i suoi anni più belli alla corte di Filippo il Bello. È un libro profondo sotto una forma leggera, è una rivelazione sapiente quanto quella d’Apuleio dei misteri dell’occultismo. La rosa di Flamel, quella di Giovanni di Meung e quella di Dante sono nate sullo stesso rosaio> [da “Historie de la Magie” di Eliphas Levi]. Guénon: <su queste ultime righe, non faremo che una riserva: è che il termine «occultismo», che è stato inventato da Eliphas Levi stesso, conviene molto poco per designare ciò che esistette anteriormente ad esso […] all’epoca di Dante, si sapeva sicuramente situar meglio ogni cosa al posto che normalmente le compete nella gerarchia universale>.


by ActualProof (appuntidiviaggio)


bottom of page