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La leggenda del Graal e il suo simbolismo

Il mito del cosiddetto “Santo Graal”, nella forma che è arrivata ai nostri giorni, è frutto di una leggenda nata nel XII secolo, che però è a sua volta derivata da un antico adattamento della tradizione celtica a quella cristiana. In realtà la vera origine di questa simbologia, come spesso accade, si perde sempre nell’antichità più profonda.


Ancora una volta infatti possiamo trovare per esempio un precedente orientale ad un mito occidentale: la coppa sacrificale contenente il Soma vedico (o lo Haoma mazdeo), straordinaria prefigurazione eucaristica e raffigurante la “bevanda d’immortalità” (l’amrita degli Indù o l’ambrosia dei greci) che può conferire il “senso dell’eternità”. Una rappresentazione schematica della coppa sacrificale era il triangolo con la punta rivolta verso il basso, come si ritrova anche in certi Yantras, o simboli geometrici, dell’India, ma era allo stesso tempo anche un simbolo del cuore, da cui l’espressione ricorrente nelle tradizioni orientali “triangolo del cuore”. A questi stessi significati corrisponde anche il simbolo del cosiddetto “calice” floreale, in oriente rappresentato dal fiore del loto, mentre in occidente dalla rosa, motivo per cui in certe raffigurazioni medievali le gocce di sangue sgorganti dal costato di Gesù Cristo si tramutano in rose toccando la terra, simbolismo strettamente legato ai concetti cristiani di Redenzione e Resurrezione. Giusto per citare un altro esempio, un altro simbolo orientale associato alla coppa è la falce di Luna. Le antiche tradizioni esoteriche hanno visto ancora il Graal come simbolo di quella conoscenza divina collegata all’Albero della Vita del giardino dell’Eden. Per sottolineare l’originaria associazione simbolica tra calice e cuore René Guénon aggiunge: <vediamo dappertutto, e non soltanto in Egitto, l'assimilazione simbolica stabilita fra il cuore e la coppa o il vaso; dappertutto il cuore è considerato come il centro dell'essere, centro a un tempo divino e umano nelle molteplici applicazioni alle quali dà luogo; dappertutto la coppa sacrificale rappresenta il Centro o il Cuore del Mondo, la «dimora dell'immortalità». Avremmo potuto ricordare anche l'athanor ermetico, il vaso in cui si compie la «Grande Opera», e il cui nome, secondo alcuni, sarebbe derivato dal greco “athanatos”, «immortale»; il fuoco invisibile che vi è perpetuamente mantenuto corrisponde al calore vitale che risiede nel cuore. Avremmo potuto ugualmente stabilire dei collegamenti con un altro simbolo molto diffuso, quello dell'uovo, che significa risurrezione e immortalità, e sul quale avremo forse occasione di ritornare. Segnaliamo d'altra parte, almeno a titolo di curiosità, che la coppa dei Tarocchi (la cui origine è del resto assai misteriosa) è stata sostituita dal cuore nelle carte da gioco ordinarie, il che è ancora un indizio dell'equivalenza dei due simboli>.


Va precisato però che non vi è alcuna citazione esplicita del Graal nella Bibbia, né nei vangeli canonici, né in quelli apocrifi. I riferimenti pre-cristiani sono invece molteplici. Charbonneau-Lassay, nell’ “Iconographie ancienne du Coeur de Jésus” sostenne che <nei geroglifici, scrittura sacra ove spesso l'immagine della cosa rappresenta la parola stessa che la designa, il cuore fu nondimeno raffigurato con un solo emblema: il vaso. Il cuore dell'uomo non è infatti il vaso in cui la sua vita si elabora continuamente con il suo sangue?>, concludendo addirittura con la concezione del Graal come “preistoria del Cuore eucaristico di Gesù”.


Secondo queste tradizioni, che possiamo definire “proto-cristiane”, il Graal sarebbe stato consegnato nelle mani di Adamo che poi lo perse quando fu cacciato dal paradiso terrestre, cioè il centro del creato e metaforicamente il Cuore di Dio. Sempre la leggenda vuole il Graal anche come un artefatto angelico ricavato da una pietra caduta dalla corona di Lucifero, o proprio il suo occhio, persa nel momento in cui venne precipitato negli inferi, poi tramutatosi in smeraldo. <Questo smeraldo richiama in modo sorprendente l’“urna”, la perla frontale che, nell'iconografia indù, occupa spesso il posto del terzo occhio di Shiva, rappresentando quel che si può chiamare il “senso dell'eternità”... e si può persino cogliervi una relazione di più con il cuore, che è, per la tradizione indù come per molte altre, ma forse più chiaramente ancora, il centro dell'essere integrale, e al quale, di conseguenza, tale «senso dell'eternità» dev'essere direttamente ricollegato>.

Successivamente questa pietra sarebbe stata recuperata da Seth, figlio di Adamo, che aveva ancora accesso al Paradiso terrestre. <Seth è una delle figure del Redentore, tanto più che il suo stesso nome esprime le idee di fondamento, di stabilità, e annuncia in qualche modo la restaurazione dell'ordine primordiale distrutto dalla caduta dell'uomo. C'era dunque fin da allora almeno una restaurazione parziale, nel senso che Seth e quelli che dopo di lui possedettero il Graal potevano per ciò stesso istituire, da qualche parte sulla terra, un centro spirituale che era come un'immagine del Paradiso perduto> (da "I simboli della scienza sacra" di Renè Guenon). Dopo Seth il Graal sarebbe andato perduto nuovamente e poi ritrovato più volte nella storia, per comparire puntualmente in mano ai vari patriarchi dell’antico Testamento come Noè, Melchisedek, Abramo, Mosè, fino a quando, secondo una tradizione esoterica, sarebbe stato trovato da Veronica (detta Serapia) che lo avrebbe consegnato proprio a Gesù per la celebrazione dell’ultima cena.


Dal punto di vista storico il mito del Graal è giunto a noi dalla cultura celtica passando per la Chiesa celtica (o culdea). Questa, considerando la distanza da Roma e l’inevitabile fusione con la tradizione druidica, era dotata di una particolare autonomia, per lo meno fino al sinodo di Cashell del 1172 che conformò definitivamente i rituali di questa chiesa con quelli cattolici. Guénon deduce che questa chiesa fosse inevitabilmente iniziatica o esoterica, ma non vi sono documenti scritti che possano testimoniarlo. Curiosa però la posizione di questa chiesa riguardo alla stregoneria, in quanto fu l’unica in tutto il cristianesimo non solo a non perseguitarla, ma addirittura a scomunicare chiunque sostenesse di credere nelle streghe o che avesse accusato qualcuno di esserlo, condizione che al contrario, come vedremo genererà le basi dell'occultismo moderno.


Per contiguità geografica e culturale il mito del Graal, incorporato nell’epopea di Perceval e del ciclo arturiano, venne importato nella letteratura epico-cavalleresca della Francia settentrionale già in forma cristianizzata, cioè genericamente con l’identificazione fisica del Graal con la coppa prima utilizzata all’ultima cena “eucaristica” da Gesù Cristo per contenere il suo sangue-vino, poi utilizzata per contenere realmente il suo sangue dopo la crocifissione.


Per problemi derivanti probabilmente dalla tradizione orale plurimillenaria (anche romanzata), ma soprattutto per il relativo simbolismo connesso, il Graal è stato rappresentato allo stesso tempo anche come un vaso (grasale) o un libro (gradale o graduale), con facile collegamento al “Libro della Vita”, mentre altre volte ancora veniva inteso come un vassoio o come un pietra. Questa molteplicità di rappresentazione conserva in realtà ancora molto sulla natura simbolica del Graal.


Essendo la tradizione celtica prevalentemente orale, non c’è da stupirsi se i testi più antichi a noi pervenuti riguardanti il Graal siano nei romanzi simbolici in lingua d'oïl. Fra le più antiche di queste opere letterarie ci sono la “Legenda Aurea” di Jacopo da Varagine del 1260 e il romanzo “Perceval ou le conte du Graal” di Chrétien de Troyes (XII sec). Un altro testo dello scrittore francese, Robert de Boron, “Roman dou l'Estoire de Graal ou Joseph d'Arimathie” è invece la più antica testimonianza conosciuta che collega testualmente il Graal a Gesù, indicandolo come la coppa dell’ultima cena poi usata da San Giuseppe d’Arimatea per raccogliere gocce di sangue uscite dal costato del Cristo per la ferita del centurione romano al momento della crocifissione (momento in cui potrebbe essere avvenuta la storica identificazione del Cuore di Cristo con il calice del Graal). Secondo questo scritto Giuseppe, con Nicodemo, avrebbe anche portato il Graal ad Avalon (Glastonbury) in Britannia fondando una comunità cristiana. A questa leggenda si collega anche il mito della Lancia di Longino, arma dai poteri soprannaturali che sarebbe stata utilizzata dal centurione romano per ferire il costato di Gesù. Curiosamente la lancia è presente anche nel mito del Graal preesistente all’adattamento cristiano, come la lancia curatrice di Achille, equivalente della medievale lancia della Passione. La famosa tavola rotonda dei dodici cavalieri di re Artù conserva straordinariamente intatto il simbolismo dell’antica ruota a dodici bracci, ma anche della ruota zodiacale, nonchè conferma che la cultura druidica può essere considerata a tutti gli effetti come una delle conservatrici della tradizione primordiale.


Il testo principale di riferimento per gli studiosi moderni del genere è invece “The Holy Grail, its Legends and Symbolism” di Arthur Edward Waite (edito nel 1933), forse la più imponente e meticolosa raccolta di dati riguardanti le varie versioni di questo mito anche se nelle sue conclusioni giunge solo ad una parziale visione del simbolismo profondo del Santo Graal, quasi limitata al solo punto di vista cristiano. Altro punto discutibile è la sua teoria per cui il mito del Graal dovrebbe avere avuto una sorta di evoluzione migliorativa nel tempo (nello stile darwiniano che andava tanto di moda), acquisendo però una spiritualizzazione progressiva (secondo la sua visione cristiana), motivo per cui Waite prediligeva considerare solo l’ultima versione del mito. In realtà, se questo ha origini nell’esoterismo antico non può che essere avvenuto il contrario, per la naturale degradazione che avviene nel passaggio tra l’esoterismo all’exoterismo. Nella fase finale infatti il Graal è inteso principalmente dal punto di vista materialistico come un oggetto reale, seppur con molteplice valenza ideologica in ambito cristiano.


Potrebbe però non essere un caso che la leggenda del Graal si sia diffusa proprio nel periodo di apice dell’esoterismo cristiano, difficile pensare che le due cose non fossero collegate, anche se poi né la Chiesa exoterica, né l’occultismo, che sarebbe comparso nei secoli successivi, avrebbero conservato tutta la profondità del simbolismo. Infatti anche nel caso del Graal non sono mancate di certo le speculazioni occultiste del mito. Ha avuto molto seguito in particolare il filone che vuole spiegare un po’ semplicisticamente il Graal secondo una chiave di lettura materialistica confinata al solo concetto di linea di sangue della regalità divina. Chi segue queste correnti crede nell’importanza storica della prosecuzione della diretta discendenza reale davidica della Tribù di Giuda oltre a Cristo fino ai nostri giorni, creando un collegamento dinastico diretto tra tutte le principali dinastie regali che hanno attraversato la storia fino ad oggi, cercando supporti proprio nella copiosa letteratura del ciclo arturiano (vedi "Radix Davidis"). Secondo queste teorie la principale discendenza regale di elezione divina sarebbe tutt’ora rappresentata dalla famiglia reale inglese (vedi "British Israel"). Questa concezione ovviamente è incompatibile con quella della successione apostolica cristiana che avviene per via rituale sacramentale e non per discendenza carnale, per cui ogni speculazione in questi termini non avveniva in ambienti cristiani, entro i quali poteva persistere solo l’aspetto eucaristico del Graal. Con il ridimensionamento dell’esoterismo cristiano e per la diversificazione concettuale in atto da quel momento il Graal non fu più visto come prima.


Anche certe tradizioni del tardivo rosicrucianesimo deviato si concentrano sull’aspetto materialistico. Una di queste ha cercato di superare il problema storico e biblico derivante dal fatto che Gesù Cristo non ha avuto figli, per cui ha indicato in San Giacomo, discepolo di Gesù Cristo e suo cugino (probabilmente paterno di primo grado), come colui che avrebbe potuto proseguire tale linea di sangue. Secondo questa tradizione San Giacomo giunse in Europa per profetizzare il cristianesimo con Giuseppe d’Arimatea e alcuni ragazzi sempre di stirpe davidica. Uno di questi sarebbe stato il capostipite della stirpe francese dei merovingi a cui di fatto si imparentarono tutte le dinastie regali d’Europa. San Giacomo non si sarebbe però limitato ad assicurarsi la sola prosecuzione della linea di sangue, ma avrebbe creato una confraternita di stampo iniziatico (di cui i rosacroce sarebbero gli eredi) i cui riti erano celebrati appunto con il Graal, anche qui indicato come la coppa che aveva fisicamente raccolto il sangue di Cristo. Il racconto si arricchisce anche di una versione sull’origine dei templari, nati per proteggere i luoghi sacri in Terra Santa, ma anche per riportare il Graal a Gerusalemme. Ordine che poi sarebbe stato consacrato a San Giovanni Battista per scongiurare l’estinzione della stirpe di David, come invece era capitato proprio al ramo di San Giovanni morto decapitato senza eredi, né fratelli.


Un’altra di queste teorie, di largo seguito, non solo ha sostituito Maria Maddalena a San Giuseppe o San Giacomo come anello di congiunzione tra la linea regale davidica e le dinastia regali occidentali, ma l’ha voluta intendere anche come “sposa” letterale di Gesù, dal cui ipotetico rapporto avrebbe avuto un figlio che sarebbe stato il vero capostipite dei merovingi. Questo espediente, privo di reali fonti storiche (ma molte false), servì sia ad accreditare ulteriormente il mito della linea di sangue reale, ma anche per attribuire nuovi significati carnali alla figura di Gesù Cristo, filone che come è facile intuire ha avuto storicamente molto seguito negli ambienti anticlericali.


In definitiva, che originariamente il Graal abbia avuto o meno solo un valore simbolico negli ultimi secoli non è interessato a nessuno, tutte le ricerche sono state invece incentrate su un presunto calice realmente esistito che per la tradizione era stato usato effettivamente nell’ultima cena di Gesù Cristo. Secondo questa tradizione, che ha avuto un successo incredibile nell'occultismo moderno, questo Graal sarebbe di vetro infrangibile e radioattivo, di colore verde scuro come l’alabastro, creato da un materiale di origine meteoritica composto da ferro e uranio, luminescente se esposto alla luce.


Segue riassunto delle laboriose ricostruzioni storiche sui possibili spostamenti di questa particolare reliquia nel tempo. Inizialmente San Giacomo e Giuseppe d’Arimatea avrebbero portato il calice dalla Galilea all’isola di Anglesey poco dopo la morte di Gesù Cristo, nel 154 Lucio I di Britannia (trisnipote di Giuseppe d’Arimatea, ma anche erede adottivo dell’imperatore Adriano) lo avrebbe portato a Roma. Qui finì nel tesoro segreto dell’imperatore Adriano (citato ne “I ricordi” di Marco Aurelio, dove però scrisse anche di averlo in parte venduto in un’asta pubblica), custodito nel Mausoleo d’Adriano (oggi Castel Sant’Angelo) che conteneva anche altri preziosi dalla Terra Santa frutto del sacco di Gerusalemme di Tito nel 70 d.C. La tradizione vuole anche che l’imperatore stesso vide il volto tridimensionale di Gesù Cristo non appena guardò dentro il calice a lui portato da Lucio I e in onore di questo prodigio fece scolpire una statua con quel volto che venne custodita con la reliquia del Graal e che presumibilmente l’ha seguito per lo meno nei suoi ultimi spostamenti. Questo calice sarebbe stato rubato dai visigoti nel sacco di Roma del 410 e portato nella loro capitale Arques nei Pirenei, poi conservato dai catari fino all’assedio del 1243 dell’ultima fortezza di Montségur, durante la guerra con i principati cattolici francesi del centro-nord. Il tesoro cataro con il calice in oggetto giunse quindi nella custodia di Margherita di Borbone regina di Navarra (1211-1256). Il suo erede Enrico IV di Borbone (1553-1610) l’avrebbe poi riportato a Roma per cederlo al papa (Sisto V?) in cambio del titolo di Re di Francia. Agli inizi del XIX secolo il Graal tornò di nuovo in Francia con le razzie napoleoniche, per finire nelle mani dell’imperatrice Josephine de Beauharnais (presunta Grande Maestra della loggia femminile francese) che lo aveva richiesto al consorte e che poi custodì nella sua villa chiamata “Malmaison”, finchè nel 1815 lo vendette allo zar russo Alessandro I Romanov che lo portò infine nella sua capitale San Pietroburgo. Al termine del suo viaggio questo calice sarebbe stato conservato nel Museo Hermitage di San Pietroburgo nella collezione dei calici veneziani dello zar Alessandro I, poi recentemente spostato nella sala “Reperti Storici dell’Antica Roma”, dove teoricamente dovrebbe essere ancora oggi.


Un altro curioso contributo, che si è aggiunto a questo già colorito filone mitologico sul Graal, è stato dato dall’esoterista francese Pierre Plantard (1920-2000). Costui nel 1950 si interessò alle vicende dell’abate Berenger Saunière (1852-1917), bizzarro parroco di Rennes-le-Château sospeso a divinis nel 1910, dopo una contesa con il suo vescovo in merito ad un presunto tesoro che il parroco avrebbe ricavato non si sa come e intestato alla sua perpetua Marie Denarnaud (1868-1953) per evitarne la sottrazione. Da quel momento Rennes-le-Château cominciò ad attirare gli amanti di misteri esoterici (addirittura anche Hitler) tra cui appunto Plantard che, proprio perchè nonostante le varie ricerche non si era trovato un vero tesoro, ipotizzava che la vera ricchezza riscoperta da Saunière fosse sapienziale, cioè la prova della vera discendenza regale del Graal. Per incredibile combinazione, questa fantomatica linea regale recuperata da Plantard indicherebbe proprio lui stesso come l’ultimo dei discendenti, quindi con diritti regali. Da indagini successive pare che per dimostrare questo cercò anche di falsificare documenti storici negli archivi.


Alla fine questa evidente invenzione di Pierre Plantard finì però per rigenerare il mito e creare in tempi recenti un vero filone mainstream occultista ripreso in vari film e libri, tra cui il fortunato “The Holy Blood and The Holy Grail” di Michael Baigent, Richard Leigh e Henry Lincoln in cui, partendo dall’antico termine francese “sangreal” (genericamente tradotto in “sacro graal”), viene considerata una nuova scomposizione delle lettere, “sang real”, ovvero “sangue reale” che vuole giustificare la parte delle teorie che vedono nell’importanza storica delle linee regali davidiche (su citate) il vero potere nascosto nel mito del Graal. Per completezza bisogna aggiungere che questi autori sostenevano anche che Gesù Cristo fosse il portatore addirittura di un messaggio di guerra e odio contro l’usurpatore romano, tesi che ovviamente ha ricevuto notevoli simpatie degli anti-clericali, con ulteriori derive mediatiche contemporanee come nei romanzi pro-occultisti di successo di Dan Brown, ovviamente storicamente privi di alcuna attendibilità.


by ActualProof (appuntidiviaggio)


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